La stampa britannica le ha definite «le sorelle più affascinanti del XX secolo», protagoniste, anche se talvolta loro malgrado o schierate dalla parte sbagliata, della vita pubblica del paese. La bizzarra epopea delle sei  sorelle Mitford, emblema contraddittorio dell’aristocrazia inglese del periodo tra le due guerre mondiali, che incrociarono nel loro percorso politica e mondanità, personaggi come Churchill e Hitler, ma anche scrittori e poeti come Evelyn Waugh e Maya Angelou, i fascisti di Londra e i combattenti delle brigate internazionali in Spagna, rivive ora in una serie di crime novel, I delitti Mitford, firmate da Jessica Fellowes, già autrice di studi su Downton Abbey e nipote del creatore della serie, Julian Fellowes. L’assassinio di Florence Nightingale Shore (Neri Pozza, pp. 380, euro 18), romanzo d’esordio della serie, sarà presentato dall’autrice domani alle 19 al Castello Sforzesco di Milano, per Bookcity.

Le vicende delle sorelle Mitford evocano una pagina dimenticata della storia britannica, quella che vide molti aristocratici appoggiare Hitler. Fino a che punto gli inglesi hanno fatto i conti con questo passato ingombrante?
Temo molto poco, visto che è sempre stato considerato come un fenomeno marginale. Le simpatie per i nazisti rimasero limitate agli ambienti dell’aristocrazia. Un fascismo violento e di massa non apparve mai in Gran Bretagna, a differenza di quanto accaduto nel resto d’Europa. Negli anni Trenta era nata la British Union of Fascists di Oswald Mosley, che sposò Diana, una delle Mitford, ma il partito non ebbe mai molto seguito e fu sciolto già nel 1940. Resta il fatto che, pur se ridotto nei numeri, l’attrazione che fascismo e nazismo esercitarono sull’élite fu reale.

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Delle celebri sorelle si è scritto invece molto, il «Guardian» ha parlato di una «industria Mitford» a proposito del gran numero di pubblicazioni loro dedicate. Le ha poi definite «un prototipo di Forrest Gump, sempre al limite della Storia se non coinvolte direttamente». Cosa ne pensa?
Hanno incarnato, talvolta con una notevole dose di anticonformismo, altre meno, lo stile di vita delle élite dell’epoca, ma anche una sorta di protagonismo femminile per certi versi ante litteram. Da Nancy, che era nata nel 1904, fino alla più giovane, Debo, nata nel 1920, le sei sorelle raggiunsero l’apice delle loro traiettorie personali in momenti diversi del periodo tra le due guerre mondiali, il che le rende anche interpreti di una visione particolare di quella stagione. Accanto al loro evidente côté glamour, erano tutte bellissime e brillanti, hanno rappresentato anche le molte sfaccettature di un’epoca travagliata ma creativa. Tra loro ci sono state una scrittrice, una contadina, una castellana che ha tenuto in vita una delle più grandi dimore storiche d’Inghilterra, una fascista, una nazista convinta e anche una comunista impegnata a fianco degli ultimi delle terra.

Lei ha scritto molto intorno alla serie «Downton Abbey» che inizia con il naufragio del Titanic nel 1912, mentre questo primo romanzo dei «delitti Mitford» si apre alla fine della Prima guerra mondiale. L’inizio del Novecento ha in sé qualcosa di attuale?
Sono profondamente convinta che il mondo di oggi sia ripartito da quanto accadde esattamente 100 anni fa. Una guerra combattuta all’estero dalla quale fanno ritorno uomini feriti nell’anima se non nel corpo, una politica sempre più polarizzata e conflittuale, l’emergere della voce delle donne, il rapido sviluppo della tecnologia che incide sul lavoro, gli affetti e perfino sulla vita domestica e quotidiana. Condivido la tesi più volte espressa dagli studiosi secondo la quale il XX secolo sia iniziato in realtà con gli anni Venti, quando sono giunti a maturazione sviluppi politici e tecnologici su larga scala. In Gran Bretagna, i giovani del primo dopoguerra hanno imposto una nuova direzione al secolo seguente, tagliando i ponti con i loro genitori e nonni edoardiani e vittoriani. E qualcosa del genere sta accadendo di nuovo soprattutto grazie alle nuove tecnologie.

«Downton Abbey» descrive come le rigide divisioni di classe della società britannica possano essere messe in discussione dall’azione dei protagonisti. In questo romanzo, il legame tra la domestica Louisa e Nancy Mitford sembra proporre un’analoga rottura degli schemi…

È una delle chiavi del libro. Inoltre, rispetto al lavoro di mio zio (Julian Fellowes) sui personaggi della serie, ho voluto ampliare le sfumature di grigio: nessuno di quelli che ho creato è fino in fondo o «bianco» o «nero». Nella sottile tensione sociale che attraversa il libro, non tutti gli appartenenti alla working class sono necessariamente buoni e non tutti gli aristocratici sono cattivi. Come dicevo, vivono in una società del tutto nuova, così diversa da quella dei loro genitori, o anche solo della generazione precedente, e tutto appare loro eccitante e travolgente. Devono inventarsi un nuovo modo di stare al mondo.

Nel romanzo non ci sono solo le Mitford, ma anche vittime, criminali e chi indaga sul caso sono donne. Un modo per raccontare l’epoca delle suffragette?
Dopo la Prima guerra mondiale in Gran Bretagna emerse quello che i giornali dell’epoca definirono come «il problema delle donne in eccedenza». Oltre un milione e mezzo di uomini non avevano fatto ritorno dal fronte o tornarono in gravissime condizioni. Per molte donne che erano state fino ad allora educate ad avere come orizzonte solo quello di sposarsi e fare figli, tutto cambiò all’improvviso. Parallelamente al sorgere di nuove prospettive esistenziali emerse anche la richiesta di nuovi diritti. Era un annuncio di liberazione che non potevo ignorare parlando di quel periodo.