Domenica 24 novembre, santa Flora, è il giorno previsto per le primarie del partito democratico. Forse. La notizia è arrivata come «comunicazione» alla direzione che, tanto attesa, si è consumata in tre rapidi quarti d’ora ieri sera a Montecitorio. Per la verità nella sua relazione, unico intervento oltre a quello del presidente del Consiglio Letta, il segretario non ha indicato alcuna data. Ne ha sciolto l’equivoco se le primarie saranno per la guida del partito o per la premiership. Semplicemente Epifani ha dato appuntamento al 20 e 21 settembre per l’assemblea nazionale, dove si aprirà ufficialmente «l’iter del nostro congresso». Che resta senza data, visto che nulla ancora è stato deciso sulle regole. Appunto per questo anche le primarie di fine novembre non sono così certe, visto che bisognerebbe che i democratici si intendessero prima sulla platea elettorale. La data del 24 novembre è venuta fuori al momento del rompete le righe, quando già i renziani diffondevano il malumore ben oltre le porte chiuse della riunione (twitter, of course). Quasi estorta a un Epifani piuttosto seccato e a una vice presidente dell’assemblea (Marina Sereni) presa in contropiede. E poi rimangiata almeno un po’ attraverso una nota ufficiale della segreteria diffusa a riunione ormai sciolta: «L’indicazione politica è di fare il tutto, compatibilmente con le modifiche statutarie che si deciderà di adottare, entro novembre». In ogni caso tre mesi e mezzo sono davvero tanti, vista la precarietà del governo Letta. E nell’eventualità di elezioni anticipate, tutto, a cominciare dalle date promesse, sarà messo in discussione.

Di elezioni anticipate, però, non pensa sia il caso nemmeno di parlare Enrico Letta. Che intervenuto subito dopo Epifani ha alzato una barriera in difesa del suo governo fatta di rassegnazione: «Elezioni subito con questa legge elettorale significa nuove larghe intese». La soluzione, per il presidente del Consiglio, sarebbe quella di «cogliere la finestra di ottobre» per correggere il Porcellum. Ma è il primo a sapere che è assai improbabile che Pd e Pdl troveranno un’intesa, e che dunque la pessima legge in vigore è un’ottima alleata della «stabilità» di governo. Stabilità che per Letta è ovviamente la cosa più importante in questo momento. «Sono criticato per questo – ha detto – ma lo ribadisco: la stabilità è valore, per vendere il nostro debito dobbiamo essere credibili». Impostazione condivisa da Epifani, con l’aggiunta di un invito a fare di più: «Il governo deve procedere senza logoramenti, fibrillazioni e compiere scelte più efficaci». Ma il segretario ha anche detto che il partito deve essere «pronto a tutto» perché «a settembre capiremo le intenzioni del Pdl». Linea del rigore con Berlusconi confermata appieno, nessuno sconto possibile, si aspetta il passo indietro del cavaliere. E poi legge elettorale e conflitto di interessi, ma soprattutto una decisione sull’Imu che sia «logica e compatibile»: il Pd condivide l’impostazione di Saccomanni e la tassa sulla casa è il primo ostacolo contro il quale le larghe intese rischiano di andare a sbattere.

Per il Pd invece gli incidenti sono quotidiani, e la direzione di ieri per quanto brevissima è riuscita a lasciare l’amaro in bocca a un po’ tutte le parti in campo. Epifani ha tentato di non prendere impegni vincolanti sulle date, con l’argomentazione logica che una cosa è fare il congresso con Letta a palazzo Chigi e un’altra e dover pensare alla compagna elettorale. Ma anche con l’argomentazione pratica che è meglio ritardare il lancio di Matteo Renzi. Non c’è riuscito, perché i renziani hanno ottenuto una mezza promessa – nella forma della non smentita di Epifani di una frase di Sereni – e poi sono corsi a rivendicare all’esterno il risultato. Tardiva e imbarazzante a quel punto la precisazione ufficiale della segreteria, con le immaginabili ricadute amare e ironiche nella composita schiera dei maggiorenti del partito che pure sostengono Epifani. Un’altra brutta serata, insomma.
Che potrebbe non finire qui, se già prima dell’inizio della riunione c’era chi come il senatore renziano Tonini chiedeva al segretario di indicare la data del congresso nel nome della «legalità», quasi a evocare gli avvocati. «Sono il vice presidente dell’assemblea nazionale del Pd e confermo che le primarie saranno il 24 novembre», ha detto a tarda sera Ivan Scalfarotto. Mettendo così nei guai l’altra vice presidente, Marina Sereni (la presidente Rosy Bindi si è dimessa dopo le elezioni e non è stata sostituita) alla quale è sfuggita la data in risposta alle insistenze della veltroniana Magda Negri. Del congresso, in ogni caso, non si sa nulla, né nulla è stato detto, nemmeno di sfuggita. L’unica certezza allora è che bisogna ancora attendere. Ogni decisione è rimandata a quando Berlusconi avrà misurato le sue convenienze rispetto alla tenuta del governo. Al 21 settembre, san Matteo.