Stefania Salmaso ha diretto il Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute (Cnesps) dell’Istituto Superiore di Sanità dal 2004 al 2015, il dipartimento dell’Iss che oggi avrebbe dovuto guidare l’azione del governo contro l’emergenza. Alla fine del 2015, dopo il riordino dell’ente gestito dall’allora direttore Walter Ricciardi, il Cnesps è stato smantellato e Salmaso ha lasciato l’Iss. La sua attività non si è però fermata e Salmaso continua a lavorare come “esperto indipendente”, in cui “indipendente” conta forse più di “esperto”: come scrive di se stessa, non ha mai accettato sponsorizzazioni da case farmaceutiche né per le sue ricerche né per partecipare a conferenze. E non fa parte di alcuna società scientifica che accetta finanziamenti da aziende farmaceutiche. Per questo il suo parere è oggi particolarmente prezioso.

Cosa manca, secondo lei, ai dipartimenti di prevenzione e al sistema sanitario in generale per dirsi pronti alla fase 2?

Manca un piano operativo strutturato e ufficiale che metta in grado i dipartimenti di prevenzione di lavorare sul territorio per identificare e isolare tempestivamente le nuove infezioni da Sars-Cov-2 e interrompere il più possibile la catena dei contagi. Molti Dipartimenti si sono già organizzati, e stanno facendo un lavoro enorme, anche richiamando risorse umane da altri settori fermi per il lockdown come la medicina dello sport o gli screening.

In cosa consiste il rintracciamento dei contatti?

Per ogni caso identificato è necessario identificare il maggior numero di contatti che sono esposti alla infezione, rintracciarli, possibilmente effettuare accertamenti virologici, metterli in isolamento e fare un monitoraggio per l’insorgenza di sintomi per almeno due settimane. Per ognuno che si trova infetto si ricomincia da capo con i suoi contatti. E soprattutto tenere traccia di questo lavoro in corso d’opera. Se si pensa che per ogni caso si possono avere decine di contatti, si comprende il carico di lavoro, che diventa affrontabile quando i nuovi casi sul territorio sono pochi. Quando ripartiremo tutte le risorse che si sono dedicate adesso a questo lavoro, in assenza del proprio, torneranno ai propri impegni, ma è proprio in quel momento che i Dipartimenti di Prevenzione dovranno essere la prima linea di difesa da una nuova ondata epidemica.

Oggi, secondo l’Istituto Superiore di Sanità, tra sintomi e test trascorrono sette giorni.

Ora che il sistema di accertamento è uscito dal sovraccarico penso che si stiano facendo gli accertamenti virologici su casi insorti già da tempo ma che erano rimasti senza accesso al tampone. Se così fosse, l’utilizzo della data del tampone, rispetto alla data di insorgenza sintomi, potrebbe falsare la curva epidemica e tutte le inferenze costruite ora sulla parte finale della curva. Anche su questo abbiamo richiesto più volte che fosse reso disponibile il dato disaggregato per fare tutte le valutazioni che servono. Ogni regione dovrebbe misurare la situazione locale in base a una sorta di cruscotto con misure calcolate per tutti nello stesso modo. Così ogni regione avrebbe la possibilità di confrontarsi con le altre.

Invece a volte ogni regione sembra andare per conto suo. È mancato un coordinamento tra livello nazionale e livello regionale?

Il coordinamento non si improvvisa, soprattutto in tempi di emergenza. Far muovere insieme il Paese non è un problema di assetto istituzionale (pensiamo alla Germania che è un vero stato federale con i lander autonomi) ma di modello di governance tra autorità centrale e le regioni. Si erano fatti molti passi avanti in questa direzione diversi anni fa. Purtroppo non si è più investito per costruire il rapporto fiduciario per il rispetto di ruoli e competenze, ma anzi si è dato ampio spazio a posizioni autoritarie da entrambe le parti. Esiste un tavolo tecnico di coordinamento inter-regionale, coordinato dal Veneto, che in questo frangente sarebbe stato cruciale per presentare ai politici scelte e letture razionali, basate sulle evidenze.

Il governo punta molto sulla app “Immuni”. Quanto sarà importante il suo successo per la sorveglianza nella fase 2?
Da quello che ho capito la app è uno strumento che può abbreviare molto il tempo necessario per identificare i contatti anche occasionali, in condizioni di completo anonimato. Per funzionare bene in teoria tutti dovrebbero avere la app sul telefonino e la funzione bluetooth attivata. Un altro problema potrebbe essere un eccessivo aumento di richiesta di accertamenti sanitari da parte di chi riceve il messaggio. Anche in questo caso il Dipartimenti di Prevenzione potrebbero avere un aggravio di lavoro.