Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, un bambino su venti non è vaccinato contro malattie terribili come la poliomelite, la difterite o l’epatite B. Tre su venti sono esposti a rosolia, parotite e morbillo. Rischiamo di perdere la protezione dell’«effetto gregge» perché un ceppo infettivo che si sviluppa in un numero sufficiente di individui può mutare e diventare pericoloso anche per gli altri. Sulle vaccinazioni però si sono diffuse paure infondate, secondo le quali, ad esempio, esse sarebbero responsabili dei casi di autismo. Nonostante fossero basate su vere e proprie frodi scientifiche, gli effetti nell’opinione pubblica persistono a lungo. A questo tema è dedicato il bel volume Chi ha paura dei vaccini? di Andrea Grignolio, appena pubblicato da Codice edizioni. Grignolio, 42 anni, insegna Storia della medicina alla Sapienza di Roma e ritiene che alla base vi sia la nostra incapacità di valutare i rischi reali legati alle vaccinazioni.

Quale grado di sicurezza hanno i vaccini?
I dati raccolti negli ultimi vent’anni ci dicono che il rapporto rischi/benefici dei vaccini è il migliore tra tutti i farmaci. I rischi esistono, ma sono quelli di qualsiasi altro farmaco. Un’aspirina, per esempio, comporta un rischio 1500 volte maggiore di un vaccino, eppure non esistono movimenti anti-aspirina. Mia figlia, comunque, ha fatto tutte le vaccinazioni.

Qual è l’origine delle paure nei confronti dei vaccini?
Il problema è che non sappiamo valutare i rischi, tanto più quando si fanno figli intorno ai quarant’anni anni, come avviene sempre più spesso. Si ha una minore capacità riproduttiva e maggiore ansia perché la probabilità di avere un figlio con malattie neurologiche a quell’età è più alto. Da ricerche molto recenti, tra l’altro, è emerso uno dei maggiori fattori di rischio dell’autismo è rappresentato dall’età del padre, e non della madre. Altri studi, poi, mostrano che intorno ai quarant’anni la soddisfazione media per la propria esistenza raggiunge il valore più basso. Fattori di stress che diminuiscono la nostra capacità di valutare il rischio. Una tempesta perfetta che, quando siamo dal pediatra per le vaccinazioni, manda il nostro cervello in confusione.

Molti studi dimostrano che questi timori toccano la fascia più istruita della popolazione. Lo ritiene un paradosso?
Solo in apparenza. Le persone più istruite e abbienti si informano di più. L’eccesso di informazione è il problema-chiave, non comporta necessariamente scelte migliori. Lo dimostrano anche gli studi del premio Nobel per l’economia Daniel Kahneman: quando andiamo in banca e ci danno mille ragguagli facciamo molta confusione. In più, su Internet troviamo notizie contraddittorie e spesso false. Oltre il 60% dei siti sono schierati contro le vaccinazioni. In Italia, come aveva capito Debord, su queste cose siamo all’avanguardia.

Che c’entra Guy Debord con questo problema?
Il suo libro La società dello spettacolo è stato quello che ha presagito meglio lo sviluppo degli ultimi quarant’anni. Debord aveva capito che nella macchina mediatica, in particolar modo in quella televisiva, l’intrattenimento sfugge di mano e tende a occupare tutto lo spazio. Realtà, fiction e intrattenimento collassano l’una sull’altra. Come osserva lo storico Carlo Ginzburg, puntando sulle responsabilità del relativismo post-moderno, così diventa difficile distinguere tra vero, falso e finto. Un racconto fittizio ricostruisce la realtà e può essere usato per dire il vero o il falso. Difficilissimo orientarsi, anche al di là dei vaccini. A ciò va aggiunta la «cultura del risentimento» alimentata dal populismo demagogico di movimenti come quello grillino. E poi c’è stato un cambiamento nel rapporto medico-paziente, un caso particolare del più generale rifiuto della cittadinanza dell’autorevolezza delle competenze. Per molti, troppi, sui vaccini le opinioni di Red Ronnie valgono come quelle di un immunologo. Pericolosissimo.

Nel suo libro, lei accusa i sociologi della scienza per la sfiducia che alimentano…
Mi sono formato in questo filone di ricerca. Al Mit di Boston seguivo i corsi di Evelyn Fox Keller, che ne è stata una protagonista. Sono uscito dall’università pensando che gli Ogm facessero male e avendo paura delle vaccinazioni. Uno dei fondamenti di questa corrente di pensiero è che la scienza sia solo una delle tante «narrazioni». È il relativismo post-moderno, come accennavo. Un altro luogo comune di questo filone di pensiero è che laddove vi sia interesse economico vi sia corruzione e falsità. Può essere vero ma non necessariamente lo è. Dimentichiamo gli enormi benefici della farmacologia, creata dalla tanto vituperata BigPharma.

Però quella critica della scienza è stata anche utile…
Lo ammetto. Per esempio, la cosiddetta situated knowledge, cioè la scoperta che ogni conoscenza vada riferita al suo contesto storico e culturale, non va scartata. Quando parliamo di scienza occorre tenere conto di dove parliamo e a chi. Proprio per questo in Italia occorre sottolineare gli aspetti positivi del processo scientifico: sui giornali leggiamo solo posizioni contrarie. Certo che anche nel mondo scientifico c’è corruzione, ma questo è il Paese di Stamina. Forse in Inghilterra farei un discorso diverso, però qui non ci possiamo permettere di parlare dei difetti della scienza. Verrebbe frainteso.
D’altronde, nel mondo anglosassone il movimento anti-vaccini esisteva già duecento anni fa…
Ci sono ragioni più universali, che risalgono alle prime campagne di vaccinazione di fine Settecento. Allora, per la prima volta lo Stato imponeva ai suoi cittadini l’inoculazione di una sostanza estranea. Non è facile accettarlo. Anche se ti stanno salvando la vita, può sembrare una violenza.

Come si può rafforzare la fiducia nella vaccinazione?
Paradossalmente, lo strumento più efficace sarebbe il ritorno delle malattie infettive. Vedere i bambini storpiati dalla poliomelite o sfregiati dal vaiolo restituirebbe ai genitori di oggi il principio di realtà. Ma ovviamente la mia è una provocazione.

Non si possono applicare forse metodi meno drastici?
Qualora ci fosse una nuova epidemia, come quella che negli ultimi quindici mesi ha fatto dieci vittime di meningite in Toscana, prenderei in considerazione il ritorno temporaneo all’obbligatorietà delle vaccinazioni. Sarebbe meglio, però, puntare sul dialogo con i cittadini diffidenti, che si dividono tra «esitanti» e «oppositori radicali». Gli esitanti, circa i 30% della popolazione, possono essere convinti facilmente mostrando i dati e mettendoli in contatto con persone (soprattutto madri) che hanno subito in prima persona le conseguenze di una mancata vaccinazione.

E con chi si oppone alle vaccinazioni?
Gli oppositori radicali, una percentuale compresa tra l’8 e il 14%, non vanno contraddetti o sfidati usando informazioni correttive. Bisogna sostituire la loro falsa percezione del rischio della vaccinazione con quello reale di contrarre le malattie infettive. In ultima istanza, per i genitori si potrebbe pensare a un’assicurazione suppletiva per compensare gli effetti di una eventuale epidemia causata dalla mancata copertura vaccinale dei figli. Oppure imporre loro, come in Australia, il ritiro dei figli dalle scuole nei giorni delle epidemie stagionali. Infine, richiamare i figli al raggiungimento della maggiore età, informandoli dei pericoli a cui le decisioni dei genitori li hanno esposti. Funziona, ho visto molti ventenni riprendere in mano il loro calendario vaccinale. A quell’età le ideologie non sono ancora radicate e le prove e i dati di realtà vengono generalmente valutati in modo corretto.