truffe

Il romanzo di Barbera Gianluca La truffa come una delle belle arti (Aliberti, Correggio, pp. 217, euro 17) vede nelle ultime pagine il protagonista Carl Lo Piccolo a dettare le memorie al giornalista Ricci per farne un libro di successo: operazione al quadrato con cui l’autore – romanziere per vocazione, saggista ed editore per necessità – beffardamente volge quasi a «truffa» la scrittura medesima. Il romanzo diventa così oggetto metafisico e autoreferenziale, dagli esiti sorprendenti nelle «avventure» inscenate con Lo Piccolo a evocare a ritroso le gesta degli avi, in toni epici, goliardi, tragicomici: anno di grazia 1842 e bisnonno Petreus, detto Pepé con la sua «Sirena delle Galapagos».

BARBERA, dunque, con prosa realista finto-ottocentesca, documenta invenzioni e scoperte paradossali, contraddittorie, verosimili, in quanto legate a trucchi, raggiri, imbrogli. Estende quindi l’albero genealogico degli «artistici» truffatori famigliari a «modelli» viziosi ben più nobili, passati alla cronaca e alla Storia, non senza due geniali divagazioni: nel capitolo «Il viaggio del re» (due settimane di Ferdinando di Borbone in visita ai sudditi, verso Calabria e Sicilia) sfoggia una prosa alla Tomasi di Lampedusa; e nel capitolo «Il problema del male», rilegge l’affaire Staviski, le cui gaglioffe prodezze fanno da fil rouge alle imprese del clan Lo Piccolo.

Quando, negli ultimi capitoli, l’anziano Mister confessa a Ricci le sue «belle arti» nel corso del Novecento, Barbera metaforizza quanto accaduto dal 2007 oggi: la crisi sostenuta o «agevolata» da broker e speculatori. In questo modo architetta una lunga escalation, dall’artigianato maldestro alla scienza quasi esatta della truffa colossale, dove un Pc può decretare il fallimento di un’azienda o il tracollo di una nazione; e, per bocca del protagonista, sostiene che la truffa in sé resta un’arte sublime, classica, difficilissima da preparare, organizzare, realizzare.

AL PARI DEGLI ANTENATI, infine, il personaggio «letterario», vessato del perseverare virtuosisticamente tra inganni, frodi, plagi, sembra una figura encomiabile nel creare quasi dal nulla gli immaginifici funambolismi necessari a speculare sull’altrui dabbenaggine (frammista a buonafede, ingordigia, morbosità, spavalderia); non a caso Lo Piccolo inizia la «confessione» da chi spaccia per sirena un puzzle fra tonno e babbuino essiccati, o chi vende documenti «autentici» vergati dalla Maddalena o da Gesù Cristo, giungendo al discendente di Sir Francis Drake che incamera i fondi onde sbloccare un fantomatico tesoro nelle mani della burocrazia: gli uomini «di» Barbera che si fingono importanti o arcinoti, accomunati dal desiderio sfrenato di estorcere quattrini non per arricchirsi, trasmettono al lettore il gusto di rincorrere il sogno della felicità attraverso il rischio, l’illecito, l’arcano, qui attratti e di continuo rimescolati dal vortice della letteratura.