Fabio Mussi, nel Pd attaccano i parlamentari che andranno alla manifestazione Cgil. Agitando il paragone con i ministri che nell’ottobre 2007 sfilarono contro il loro stesso governo, l’ultimo Prodi. Di cui lei era combattivo ministro dell’Università.

In piazza non scese nessun membro del governo. Questa è una leggenda metropolitana che a distanza di anni viene ripetuta come un mantra.

Persino Ferrero, ministro della solidarietà, e Paolo Cento, sottosegretario all’economia, restarono a casa. Fu Prodi a chiedervelo?

No, fu una nostra decisione. Non si può stare in un governo e manifestare in piazza. Anche se non era una manifestazione ‘contro’ Prodi. Era sulla finanziaria e sulla riforma del welfare. Nel governo c’erano posizioni critiche. Naturalmente le più forti erano quelle di Rifondazione. Ma i ministri fecero la loro battaglia nel consiglio.

Gli organizzatori del corteo fecero una riunione con Prodi e concordarono che le parole d’ordine non fossero troppo ostili. Diliberto disse: ‘sono comunista, mica scemo, non voglio far cadere il mio governo’.

Ci fu una certa accortezza perché la polemica non superasse il livello di guardia. Io affacciai anche a Franco Giordano (allora segretario del Prc, ndr) l’ipotesi che i ministri più critici lasciassero il governo e dessero l’appoggio esterno.

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La sinistra non uscì dal governo, ma dopo poco Prodi cadde lo stesso.

Ma non da sinistra. Ecco un’altra leggenda metropolitana. Lo fece cadere Mastella. Qualche anno dopo Prodi però disse che il suo governo era caduto il giorno del discorso al Lingotto di Veltroni.

Quando decise che il Pd doveva ‘correre solo’.

Quando stai in una coalizione e il partito maggiore dice così, inneschi un meccanismo ingovernabile. Prodi raccontò che dopo il Lingotto Mastella si affacciò sulla porta del suo studio e gli disse: volete fregare me, e io frego prima voi. Ma con termini più crudi,

Sul mito della rissosità dell’Unione si è edificata la vocazione maggioritaria del Pd. Tant’è che nel 2013 per accettare Sel in coalizione vi fecero firmare un impegno al rispetto dei voti della maggioranza. Poi è andata com’è andata.

Il rispetto delle decisioni di maggioranza ha dei limiti: si obbedisce prima alla coscienza morale, poi alla Costituzione Repubblicana e poi ai vincoli di partito. Io, insieme ad altri, qualche anno prima avevo fatto il primo gesto forte di disobbedienza al gruppo dei Ds votando il ritiro dell’Italia dall’Iraq. E dio sa se avevamo ragione.

I Ds non minacciarono di espellervi. Il Pd è meno elastico?

Questi giovani ultimi arrivati qualche volta sembrano gli eredi di Pietro Secchia. Lo stalinismo è un codice che tende a riprodursi nelle situazioni più impensabili.

Ma un partito che non ha una disciplina non è un partito, è un gruppo misto.

Il Pd è nato come gruppo misto, una rete di correnti. Nel Pci le correnti erano segrete, perché non si potevano nominare, su piattaforme pubbliche: tutti sapevano cosa voleva Ingrao o Amendola. Invece nel Pd le correnti sono pubbliche su piattaforme segrete. Non si sa bene su cosa si organizzano, spesso sono comitati elettorali al servizio dei notabili. E il principio unificatore non può essere disciplinare. Dev’essere un grande fatto politico e culturale. E deve lasciare spazio all’espressione del dissenso.

Ciascuno vota come gli pare?

Non può essere la regola. Certo l’adesione ai partiti è libera e volontaria, se dici ‘il nostro giovane segretario è al servizio degli anziani della parte avversa’, oppure ‘contro il dissenso si usa il metodo Boffo’, poi devi trarne le conseguenze.

Ce l’ha con D’Alema e Bersani: dovrebbero uscire?

Vedano loro. Ma sono espressioni estreme. Le divergenze ormai toccano punti fondativi del Pd. Io non aderii perché aveva preso una piega blairiana, quella della ‘sinistra di centro’. Oggi sento dire dentro il Pd che certe scelte del governo sono scelte di destra. ‘Di destra’, chiaro? Ora la Cgil va a un urto frontale con il governo. Partecipare alla sua manifestazione è impegnativo: vuol dire condividerne, più o meno, i contenuti.

Nel 2007 Veltroni, benché contrario al corteo della sinistra, disse: un grande fatto democratico. Renzi saluterà così la manifestazione Cgil?

Noto che lo stesso giorno Renzi fa la sua contromanifestazione alla Leopolda. Il capo di un partito e capo del governo di fronte all’iniziativa di un’importante forza sociale riunisce la sua corrente. Una cosa così l’ho vista solo ai tempi di Chávez.

Sel fa un appello alla sinistra Pd.

Non è che ci mettiamo alla frontiera a organizzare gli ingressi. Il 4 novembre abbiamo lanciato una coalizione del lavoro e dei diritti: se ci sono idee alternative a quelle del governo mettiamole in rete e facciamole diventare un fatto politico. Ma non vuol dire precipitare in un nuovo partito.

Dopo la manifestazione del 2007 cadde il governo. Cadrà anche stavolta?

Non so. Certo siamo dentro una tempesta. Qualche giorno fa il ministro Padoan ha detto: ‘siamo in una crisi peggiore di quella del ‘29’. Be’, alla faccia: quella del 29 negli Stati uniti fu risolta da Roosvelt e Keynes, e in Europa dalla Germania di Hitler. Negli Usa dopo il ‘29 ci fu la separazione fra banche d’affari e banche di risparmio, l’aliquota al 90 per cento per redditi superiori ai 4 milioni di dollari; e un massiccio piano di intervento pubblico per la creazione di posti lavoro. Se la crisi è peggio del ‘29 bisogna pensare a qualcosa che assomigli a quella riforma del sistema capitalistico.

Il jobs act non gli assomiglia?

Ma per carità.

Dopo il 2007 per voi arrivò l’orribile 2008: la sinistra asfaltata e fuori dal parlamento. Renzi ha il vento in poppa e l’Italicum non promette regali: non è che finisce così anche stavolta?

La sinistra fu asfaltata largamente per colpa sua. Ma in un grande paese europeo come l’Italia è impensabile che non rinasca una formazione di sinistra. Questa funzione non può finire assorbita nel mare magnum del renzismo. E se la sinistra Pd non fa una scelta, finirà relegata in una ridotta irrilevante.