«Un sistema sanitario unico, equo e solidale è anche clamorosamente economico. Spero che ora sia evidente a tutti». Il vicepresidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo), Giovanni Leoni, lo ripete anche adesso che forse è fuori tempo massimo. Stremato, come tutta la comunità che rappresenta.

Giovanni Leoni

Dottore, il suo giudizio sul decreto «Cura Italia»?

Le misure sono stringenti per quanto riguarda la libertà personale, ma sono assolutamente dovute. Io vivo in Veneto e mi rapporto soprattutto con la Lombardia dove il virus ha un aggressività circa 8 volte superiore che nella mia regione. Il tasso di mortalità da noi è 1,1 ogni 100 mila abitanti, in Lombardia è 9,6, probabilmente dovuto a una variante locale del virus. Inoltre in Lombardia ed Emilia Romagna le terapie intensive sono occupate all’80%, mentre nel resto d’Italia si va dal 20% al 2%. Ed è tassativamente vietato avere su tutto il territorio nazionale la situazione che abbiamo in Lombardia.

Ecco perché credo che le misure di contenimento generalizzate – addirittura si è parlato di coprifuoco se non venissero rispettate – siano le uniche armi che abbiamo. Importante poi per l’Italia avere autonomia di rifornimento del materiale Dpi (dispositivi di protezione individuale, ndr): mascherine, camici sterili, visiere, guanti, disinfettanti, per uno stato che consideriamo di guerra e che durerà almeno due mesi. Vanno garantiti presidi adeguati anche ai colleghi della medicina generale che continuano a fare visite pure domiciliari – quando non si è in grado di diagnosticare il Covid 19 – con protezioni minime o assenti. I Paesi europei stanno già chiudendo le frontiere e tra poco avranno gli stessi problemi nostri. Dobbiamo essere autonomi sui beni di prima necessità per i nostri medici che cominciano ad ammalarsi in maniera importante, e anche a morire.

Quali sono le percentuali?

Le percentuali reali dei positivi sono sicuramente superiori a quelle stimate, perché i tamponi non sono fatti a tutti gli operatori sanitari. In Veneto cominciamo solo adesso. In Lombardia per esempio gli operatori sanitari mi raccontano che il tasso potrebbe essere quasi del 100%. E a Bergamo si stanno ammalando perfino gli addetti alle pompe funebri, per via del grande carico di lavoro. Il contagio corre veloce non a causa del contatto con i morti ma con i parenti dei defunti. Come ha detto il nostro presidente Filippo Anelli, Bergamo è la Caporetto della guerra che la nostra professione sta combattendo contro il Covid 19. In tutto sono quattro già i colleghi morti.

Cosa pensa in particolare delle novità riguardanti la professione medica del decreto «Cura Italia»?

Aver abolito l’esame di Stato per coloro che hanno già completato la formazione medica è un bene: la laurea abilitante la chiedevamo da anni, era già in fieri. Il nodo invece sta nelle specializzazioni: ci sono 9.500 laureati ogni anno che aspettano contratti di formazione specialistica e borse di studio per completare il percorso formativo che, come tutti sanno, consta di altri 4 o 5 anni di specializzazione. Inoltre, siccome per anni si sono specializzati la metà di quelli che si laureavano, ci sono 10 mila «camici grigi», ossia laureati e non specializzati, che devono ancora completare il loro percorso. Un “buco” che andava riassorbito un po’ ogni anno. Ma è ancora tutto fermo, perché i soldi per le borse di studio non sono mai stati stanziati.

Però questi 10 mila neo laureati che arriveranno subito potrebbero essere utili in corsia?

Il governo deve capire che, come per altre professioni, i neolaureati dovranno essere seguiti e formati, non sono autonomi. Come è sempre successo, gli stagisti saranno di supporto ma non potranno sostituire il personale medico, neppure – come dice il ministro – nei servizi territoriali. Men che meno in un momento come questo. Non si possono dare agli stagisti responsabilità più grandi di loro, neanche in emergenza.

Il governo italiano ha stanziato 25 miliardi per l’emergenza, quello spagnolo 117, quello francese 45. Si doveva fare di più?

Questi sono solo annunci, poi bisognerà vedere in dettaglio le misure economiche. Per quanto riguarda l’Italia mi sembra che lo stanziamento sia agganciato a misure concrete, non so cosa seguirà agli annunci negli altri Paesi. Certo, comunque ci fanno piacere, dopo anni di carenza di investimenti sulla sanità pubblica. Ricordiamo che noi combattiamo con 114 miliardi l’anno, la Germania ne dà al suo sistema sanitario nazionale 145, la Francia 130. Il nostro fondo, rapportato al Pil, è tra i più bassi europei, insieme alla Grecia. E per quanto riguarda i posti letto siamo in fondo alla classifica. In più, gli italiani spendono, chi può permetterselo, altri 40-45 miliardi out of pocket. Allora credo che questo, insieme al taglio dei posti letto, al taglio della terapia intensiva e delle lungo degenze, alla carenza in particolare di anestesisti e di medici in pronto soccorso, mostra un sistema che non è stressato da oggi ma da tempo. Girava già al limite delle sue possibilità: liste di attesa interminabili, viaggi della speranza fuori Regione, difficoltà a curarsi, continui riaccessi in ospedale dovuti al fatto che i pazienti vengono dimessi troppo presto, e così via. Gli aspiranti medici non mancano certo in Italia, ma è stata negata loro la possibilità di diventarlo. Mentre i nostri infermieri sono andati a rinforzare il sistema sanitario inglese e francese, soprattutto. Si crede di poter curare a risparmio. Ora forse, purtroppo, saremo tutti costretti a cambiare idea.