Il 2012 fu un anno di svolta per Leonard Cohen. Fu l’anno in cui Patrick Leonard, meglio noto per essere il produttore di Madonna, prese in mano la produzione artistica dei suoi dischi. I due si erano conosciuti tramite Adam, il figlio musicista di Cohen. È il produttore di Madonna, dunque, che dobbiamo ringraziare se i sintetizzatori uscirono dalla vita di Cohen, il quale conosceva il lavoro di Leonard con la popstar e lo considerava una figura seminale nella musica americana moderna, un musicista brillante e un uomo «molto insolito». I due si incontrarono in un momento in cui erano in ottima forma e i dischi realizzati insieme lo dimostrano. La trilogia curata da Patrick Leonard come compositore musicale, arrangiatore, coautore e produttore – Old Ideas (2012), Popular Problems (2014) e You want it darker (2016) – ha permesso a Cohen di chiudere la carriera in modo eccelso e forse inaspettato.
Cohen è morto a 82 anni il 7 novembre 2016, diciassette giorni dopo l’uscita di You want it darker, il disco di commiato in cui cantava di «essere pronto» e di «viaggiare leggero». Nella vita diceva anche di essere una persona ordinata a cui piaceva riannodare i fili. La sua indole lo portava a finire le cose iniziate, nonostante le condizioni sempre più fragili e il grande cambiamento all’orizzonte, la prossimità della morte. Dalla lavorazione di quel disco erano rimasti dei bozzetti musicali, a volte poco più di semplici tracce vocali. Cohen chiese al figlio di portare a termine il lavoro e così, alcuni mesi dopo la morte del padre, Adam si è chiuso nel garage di casa per lavorare di nuovo con lui.

NEL TEMPO e in vari luoghi ha riunito una truppa di compagni devoti alla causa, un cast che per consuetudine definiremo stellare: Beck, Leslie Feist, Damien Rice, Richard Reed Parry degli Arcade Fire, Bryce Dessner di The National, Dustin O’Halloran, Daniel Lanois, Patrick Watson, Jennifer Warnes, amica e collaboratrice di vecchia data di Cohen, e il chitarrista spagnolo Javier Mas, che lo ha accompagnato sul palco negli ultimi otto anni di tour. Il 22 novembre è uscito Thanks for the dance (Legacy/Columbia), nove canzoni inedite di una potenza folgorante. I compagni sono stati tutti davvero molto bravi a creare per le interpretazioni di Cohen un contesto così delicato ed esaltante, in cui la sobrietà e la sottrazione amplificano la portata dell’opera.

«I’M LIVING on pills, for which I thank God» (Vivo di pillole, di cui ringrazio Dio) enuncia, più che cantare, in The Hills con la voce sempre più sussurrata, ultraterrena, microfonata vicinissimo. Solo chi ha molto vissuto, amato, lottato, indagato e perdonato se stesso riesce a condensare tanta dignità in due versi di una canzone. «Come fa un semplice mortale ad arrivare a un punto in cui le liriche sono come le sue sono state, sono e saranno sempre? Come si arriva a quel punto?», si chiede Patrick Leonard.

MA SICCOME per Cohen «la funzione basilare della popular music è creare l’atmosfera per corteggiarsi, fare l’amore e lavare i piatti», non manca Eros neanche quando Thanatos ti ha già afferrato la mano. The night of Santiago è una ballata torrida e sublime per cui Nick Cave darebbe via metà della sua discografia.
Thanks for the dance si chiude con il breve recitativo Listen to the hummingbird. È davvero il commiato e Cohen sceglie con cura le ultime parole, un’immagine di leggerezza con cui sembra dirci che l’essenza della vita sta nell’invisibile: «Ascolta il colibrì di cui non vedi le ali, ascolta il colibrì, non ascoltare me». Grazie per il ballo, Leonard.