La via tra le montagne di Antonio Zucaro (Manni editore, pp. 336, euro 20) è un romanzo che avvince, disorienta, seduce, perché riesce a raccontare il rapporto tra due mondi apparentemente contraddittori, la ricerca interiore e l’impegno politico, con un ritmo e una struttura narrativa che genera interrogativi sulla dimensione spirituale senza distaccarsi mai completamente dalla realtà.

LEÓN, studente di un paese del Sud America, recluso per motivi politici dalla dittatura militare incontra in carcere un curandero indio, don Pedro Farìa, di cui diviene discepolo e grazie al quale compie un viaggio spirituale in cui impegno politico e ricerca interiore si fondono.
Grazie ad una nuova e profonda consapevolezza León vive l’evoluzione della sua militanza, tra la presa di distanza dalla lotta armata e la partecipazione attiva a un movimento di nativi contro la costruzione di una grande diga, voluta da una multinazionale e da latifondisti locali, un movimento comunitario e consiliare dietro il quale non c’è una organizzazione politica ma, forse, una rete di saggi.

NELLA VITA PERSONALE di León, l’amore idealizzato per una compagna di università, lascia il posto a quello più intenso con una nativa, metafora del ricongiungimento con la Pachamama, la madre terra.
L’ autore risolve il tutto sul piano della scrittura. Le descrizioni, le scene di esterni e i dialoghi sono armoniosi, essenziali e coinvolgenti. C’è tensione narrativa, talento per l’introspezione psicologica, insieme alla padronanza delle tecniche letterarie per manifestarla.
Il personaggio è credibile, vero, continuamente seguito e visto dall’interno, attraverso il pensiero diretto, indiretto, libero e a volte attraverso una sorta di spontaneo monologo interiore di grande efficacia ed impatto emotivo.

I RIFERIMENTI LETTERARI sono i libri di Carlos Castaneda e il Conte di Montecristo di Alessandro Dumas, per l’esplicito richiamo del curandero all’abate Faria, personaggio chiave ispirato a Dumas da un ecclesiastico che introdusse le tecniche dell’ ipnosi nella Francia del Settecento.
Se l’abate Faria fa evadere il protagonista dalla fortezza in cui entrambi sono rinchiusi dopo avergli svelato il luogo segreto di un immenso tesoro, nel libro di Antonio Zucaro l’evasione è la metafora di una liberazione esistenziale e il tesoro è quella «energia consapevole, la luce nel cielo di tutte le menti degli uomini che di solito non vedono perché guardano fuori da sé».

NON A CASO, infatti, la vicenda di León si svolge in Sudamerica, continente in cui la mescolanza e lo scontro tra cultura europea e cultura dei nativi può generare una trama esistenziale e, dunque, letteraria, composta dall’intreccio tra i due percorsi del protagonista, quello nel mondo in cui vive e quello interiore nella sua mente, vissuti come due percorsi di liberazione, l’una collettiva e l’altra individuale.

La via tra le montagne è un racconto intriso di modernità, perché ispirato, da una parte, alle sensibilità postmaterialistiche che accompagnano il declino dell’industrialismo novecentesco e dall’altra alle culture espresse dai movimenti altromondisti che hanno immaginato di combattere le contraddizioni dell’economia globalizzata con nuove pratiche politiche, partendo dall’ascolto dei popoli «che hanno il volto come il colore della terra». Pur tuttavia rimane un romanzo di formazione, senza diventare mai né un libro politico né un testo sapienziale.

UN ROMANZO che, in fondo, riesce a comporre la frattura contemporanea tra la dimensione individuale e quella collettiva, e ci sussurra un messaggio: la vita non è una vetta da conquistare ma un sentiero da seguire. In questo sentiero ognuno è solo, ma «nessuno si salva da solo».