«Katchi è una parola che usano mia madre e le mie zie. È un modo di dire, che sta ad indicare quando le cose vanno davvero bene. Beh, un giorno, mentre eravamo a fare massaggi da un amico, ho iniziato a intonare una melodia pensando a questa espressione. Alla fine della seduta, abbiamo preso immediatamente le chitarre per scriverne il tema. Circa un mese dopo, eravamo a Venice, California, con Nick (Waterhouse ndr) e siamo andati in studio di registrazione, dove abbiamo stappato una bottiglia di champagne e iniziato a fare del freestyle sui versi: ecco come è nata Katchi». A raccontarlo è Leon Bridges, co-autore assieme al cantautore californiano del brano che nell’ultimo anno ha fatto il giro del mondo, grazie ad una versione electro dance curata dai francesi Ofenbach.

Le collaborazioni, sempre scelte con cura, sono un punto fermo per Bridges. Vedasi l’ultima in ordine di tempo, la hit Liberated scritta assieme alla brava rapper di Detroit Dej Loaf. Nel video nulla è lasciato al caso: sia l’estetica che le liriche si inseriscono nella tendenza artistica dell’ultimo periodo, che racconta di una rinnovata sensibilità per temi sociali e politici limitrofi al movimento Black Lives Matter da parte della nuova generazione di musicisti afroamericani.

E anche Bridges, come dimostra il recente Good Thing, il suo secondo album lanciato dal singolo Bad Bad News. «Nel mondo in cui viviamo – racconta – è facile essere giudicati e discriminati a causa del colore della tua pelle. Questa canzone parla di elevarsi al di sopra del razzismo, della paura, della povertà e al contempo di realizzare qualcosa di grande con i nostri talenti: Bad Bad News è un inno per gli oppressi, il titolo dell’album deriva da una frase di questa canzone. È un disco importante e grazie all’eclettismo che lo contraddistingue, riflette la mia crescita come artista. L’idea alla base del progetto era di sposare il vecchio con il nuovo».

Intenzione riuscita in pieno, in quanto gli arrangiamenti di Good Thing propongono un suono fresco e attuale, sotto cui si cela una robusta intelaiatura r’n’b e soul. In tal modo Bridges, cresciuto in Texas, dove giovanissimo si è imposto nei locali circuiti r’n’b come cantante e ballerino, ammette un’ammirazione incondizionata per Usher e Michael Jackson, e con questo secondo album abbandona il profilo del cantante derivativo e di genere, per proiettarsi appieno nella contemporaneità. Ne è un valido esempio la ballad Beyond: «Racconto la paura di innamorarsi, anche quando si è consapevoli che la persona da cui si è attratti è quella con cui dovremmo stare. Per l’intera canzone mi consulto con mia madre su questa opportunità».

Rapporto materno importante per Bridges, che nuovamente prende forma nella jazzata e struggente Georgia to Texas: «Volevo scrivere un’altra versione di Waiting Around to Die di T. Van Zandt, raccontando immagini determinanti per la mia vita. Mia madre che abbandona New Orleans facendomi nascere ad Atlanta, i conflitti identitari che ho attraversato durante l’adolescenza, la perdita della verginità con una prostituta in Oklahoma e i primi accordi appresi all’università da un buon amico».