Cantautore, autore e musicista per conto terzi (Angelini, Cristicchi, Tricca, Dellera fra gli altri), Leo Pari esplora da tempo i confini – sempre più labili – fra elettronica e acustica. Capace di passare, come è accaduto nel 2012 con Resina, il suo terzo disco, dai sintetizzatori che avevano caratterizzato la prima parte della sua produzione alle radici del folk. La passione mai sopita per il sommo genio di Poggio Bustone, Lucio Battisti, lo riporta al pop e con il nuovo lavoro in uscita in questi giorni, Spazio, lo celebra.

Pop allo stato puro in cui riferimenti vanno però all’ultima produzione del Lucio nazionale, partendo per intenderci da Una giornata uggiosa (1980) – che conclude il rapporto con Mogol, e i successivi album cosiddetti bianchi. Capolavori incompresi ai più, da Don Giovanni (1986) fino a Hegel (1994), ultimo capitolo prima della sua scomparsa nel 1998.

E quelle di Leo sono belle canzoni che se solo qualche discografico illuminato se ne accorgesse, avrebbero un bel futuro in radio. «Sono un estimatore di quei cinque dischi bianchi che vanno da Don Giovanni a Hegel ma non trascuro assolutamente È già – spiega Pari al telefono – Non sono stati compresi dal grosso pubblico, perché la gente voleva i pezzi classici di Lucio, quelli a cui era abituata. Ma Battisti riteneva semplicemente esaurita la fase delle canzoni immediate, e ha preferito dedicarsi a musiche più costruite, magari non assimilabili subito. Ma se le ascolti anche adesso ti accorgi che dentro ci sono delle melodie pazzesche, e Panella era perfetto per quei brani, con i suoi giochi di parole e le immagini surreali».

Tanti suoni elettronici ma in chiave vintage: «Si, c’è stato un gran lavoro. Intanto di selezione, fra 35 brani, e poi nel sound. Avevo in mente di realizzare un disco dove eliminare quasi completamente le chitarre ma allo stesso tempo volevo realizzarlo con sintetizzatori analogici. Qui ho usato un Prophet e il Juno 106». Cura nei testi, I cantautori dell’omonimo brano vengono definiti «i depuratori della società»: «Perché si fanno carico di incoerenze nella società e cantano per gli altri, scrivono per gli altri e lo fanno arrivare in maniera microfiltrata, ecco il paragone con l’acqua…».

C’è qualche reminiscenza in stile Battiato nel crollo del valore raccontato in un’Ave Maria «piena di graffi»: «Sono cresciuto con gli album di Battiato e non nego ci siano probabilmente delle affinità, dei rimandi. Con questo testo volevo rappresentare una perdita dei valori, non per forza religiosi anche perché non sono credente. Chi crede di questi tempi non crede tanto bene, crede male o crede in maniera esagerata. Quindi ho immaginato la statuetta di una madonnina sbattuta da qualche parte, abbandonata e piena di graffi… Un po’ come tutti noi».