Contrordine. Abbiamo scherzato: come nel gioco dell’oca, la vicenda della legge elettorale torna alla casella di partenza (o quasi). È quel che succede quando a guidare le scelte politiche non è l’interesse generale ma quello particolare, di questo o quel partito. O quando si sceglie deliberatamente di ignorare la volontà dei cittadini, che il 4 dicembre, bocciando la riforma costituzionale, hanno anche di fatto chiesto una legge elettorale coerente con i principi della medesima, che permetta l’elezione di un parlamento davvero rappresentativo, senza nominati e che garantisca un voto libero ed uguale, senza trucchi e senza trucchetti.

Il Fianum – la proposta frutto dell’accordo a quattro tra Pd, FI, M5S e Lega – che non ha retto nemmeno un giorno alla prova del voto in Aula, non faceva parte di questa categoria.

Per questo con un sit in martedì (che ha visto in piazza ben più persone di quanti deputati fossero in Aula a seguire la discussione sulla legge elettorale) e un altro ieri (quando in un primo momento era previsto il voto finale) il Comitato per la Democrazia Costituzionale ha chiamato a raccolta il popolo del No sotto Palazzo Montecitorio per presidiare tutto l’iter alla Camera della legge elettorale, quella che si voleva spacciare per sistema tedesco, ma sistema tedesco non era.

In piazza erano presenti tutti gli esponenti del Comitato che ha condotto la battaglia vincente nel referendum costituzionale del 4 dicembre e delle forze politiche che quella battaglia hanno sostenuto con convinzione.

Una battaglia che ora si combatte sul terreno della legge elettorale, perché è attraverso il sistema di voto che si costruiscono un parlamento rappresentativo e istituzioni democratiche. Sempre che non si inventino, appunto, trucchi e trucchetti che mentre affermano una cosa realizzano il suo contrario. Per questo il Comitato per la Democrazia Costituzionale ha ribadito fino alla fine il proprio giudizio critico sulla proposta in discussione chiedendo con forza le necessarie modifiche: prima fra tutte l’introduzione del voto disgiunto tra collegio uninominale e lista proporzionale, per impedire l’effetto del «voto utile» che inevitabilmente premia i quattro maggiori partiti e rischia di escludere dall’assemblea tutti gli altri, in connessione allo sbarramento al 5%.

Il voto congiunto lede, se non nega del tutto, il principio di proporzionalità alla base del sistema tedesco (che infatti prevede il doppio voto). È inoltre essenziale che all’elettore sia garantito il diritto di scegliere i propri rappresentanti: il paese non potrebbe reggere un’altra legislatura fatta di nominati e di fedeli ai capi partito.

Ora il parlamento (per altro un parlamento eletto con una legge elettorale giudicata incostituzionale e che forse avrebbe dovuto essere sciolto prima che facesse altri danni) si assume la responsabilità di un nuovo fallimento, lasciando il Paese in mezzo al guado, con due leggi elettorali diverse (una per la Camera e l’altra per il Senato) che il presidente Mattarella ha chiesto – finora senza successo – di armonizzare.

Il voto in parlamento della nuova legge elettorale rappresenta un appuntamento fondamentale per la democrazia del Paese. Per questo, il Comitato scende in piazza invitando tutte e tutti a partecipare, vigilare, far sentire la voce di chi ha votato no il 4 dicembre, quel voto che tutti vorrebbero far sparire dall’orizzonte politico e istituzionale del Paese.

La legge elettorale non riguarda solo i partiti, ma la vita delle persone: una cattiva legge elettorale fa cattivi parlamenti che a loro volta fanno cattive leggi (ricordate i voucher? Il Jobs Act? La «buona scuola»?).

Ma il Comitato per la Democrazia costituzionale scende in piazza anche, e soprattutto, per portare all’attenzione dei legislatori la voce delle cittadine e dei cittadini. La legge elettorale non può essere di nuovo piegata alle esigenze dei partiti e, per di più, alla vigilia di nuove elezioni solo per garantire ai «nominati» il loro ritorno in Parlamento.

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