Ava ha i contorni di una pin up e il volto bello e serio dell’attrice svedese Alicia Vikander. Ma – come nell’ibrido tra una fantasia erotica e una sfilata di moda ispirata a Metropolis- i suoi arti longilinei e la sua vita sottilissima sono fatti di tubi trasparenti in cui corrono dei circuiti blu. Ava vive nella foresta, in una labirintica casa di vetro, insieme al palestrato inventore del browser più usato del mondo che, non avendo bisogno di un lavoro banale come quello di tutti noi, si è dato a esperimenti segreti.

Tra Frankenstein e Black Cat di Edgar Ulmer, tra Blade Runner e Franjou, Terminator a Her, 2001 Odissea nello spazio e A.I., è Ex-Machina, il primo film da regista dello scrittore inglese Alex Garland, romanziere di The Beach, Tesseract e The Coma e frequente sceneggiatore di Danny Boyle (28 Days Later). Abituale viaggiatore di scenari distopici, Garland sceglie per questo suo esordio dietro alla macchina da presa, amatissimo dalla critica Usa, un’ambientazione minimal, quasi da camera. Il film inizia quando Caleb (Domhall Gleeson), programmatore del motore di ricerca Bluebook, viene invitato dal CEO della compagnia, Nathan Bateman (Oscar Isaacs) a recarsi nella sua sperduta villa/laboratorio di ricerca per effettuare un test su un computer dalle facoltà umane. Contrariamente alle aspettative di Caleb, «la macchina» non è un oggetto metallico e informe, pieno di bottoni, ma un A.I. deliziosamente antropomorfo, dotato persino, spiega con orgoglio Nathan al giovanotto, di un buco tra le gambe attraverso il quale, grazie a dei sensori, può provare un equivalente del piacere sessuale.

Il volto parzialmente nascosto da una folta barba e da un paio occhiali rotondi, accessoriato da pesi, punching ball e attrezzi vari da ginnastica, e da una serie infinita di bottiglie di birra, Oscar Isaac dà a Nathan un’irrequietezza sinistra e all’ennesima incarnazione del mad doctor, una fisicità minacciosa abbastanza inedita. Insieme a lui e ad Ava, nella villa solitaria, che grazie allo stile moderno e all’inaspettata «collezione» che Caleb scoprirà nelle camere di vetro, ricorda quella del dottor Vitus Wedergast/Bela Lugosi nel capolavoro horror che l’ungherese Ulmer realizzò per la Universal nel 1934, c’è anche una domestica, Kyoko, che non apre mai bocca, ha il look di una Bond girl lobotomizzata e funge da giocattolo erotico del suo padrone con cui a un certo punto si mette a ballare come in un musical con Fred Astaire.

Il test che Caleb deve condurre è organizzato in una serie di sessioni tete a tete con Ava, seguite in videocircuito da Nathan. Fin dal primo incontro con l’enigmatica, sexissima, robot, è difficile capire chi stia veramente mettendo alla prova l’altro. Capace di provocare black out intermittenti, che durano quanto basta per scambiare due parole inosservati dal suo creatore, Ava intima a Caleb di non fidarsi di Bateman, «non è un tuo amico». Nonostante l’aria innocente e sottomessa, non sembra un’amica del programmatore nemmeno lei, impegnata com’è in un gioco di seduzione tipo tela di ragno di cui l’unico a non accorgersi sembra proprio il ragazzo.

Un sovrapporsi continuo di superfici trasparenti a sottolineare la nebbia di quello che sta succedendo, squarci di strip tease robotico (mano a mano che i loro incontri proseguono, Ava si presenta a Caleb sempre più simile a una ragazza «normale» e comincia a vestirsi), lunghe tirate di Nathan ubriaco e dialoghi che vanno dallo pseudofilosofico a «Ti piace Mozart?», «Mi piacciono i Depeche Mode», Ex-Machina è soprattutto un film di atmosfere. Un mood malsano, malevolo, che si consuma nel verde impassibile, sereno, del bosco. Ed è questo il suo fascino, grazie al quale, la primavera scorsa, dopo una prima al festival texano di SXSW, è diventato un po’ un cult.

Se Garland intendeva dare al suo A.I. la drammaticità struggente, dolorosa, di quelli di Spielberg o Spike Jonze, o la minacciosità di quello di Kubrick, non ci è riuscito. E, specialmente in confronto alla magnifica performance (vocale) di Scarlet Johannasson in Her, Vikander è un mistero piatto – Ava lo stereotipo della fantasia maschile di una donna «enigmatica». Ma, anche se non c’è nulla di nuovo rispetto al genere, Ex-Machina funziona molto bene in una sua indovinata, malinconica, eleganza B.