L’inizio è un po’ per caso, anche se il piacere di un’immagine che rimanda alla pagina scritta attraversa il cinema di Rita Azevedo Gomes, il suo precedente – e molto bello – Correspondecias (2016) ripercorreva la storia del Portogallo nella vita, e tra le righe delle loro lettere dei due poeti Jorge de Sena, esiliato dal Portogallo, e Sophia de Mello Breyner Andresen. E prima ancora, A Vingança de uma mulher (La vendetta di una donna, 2012) nasceva da una racconto nella raccolta di Barbey d’Aurevilly, Les diaboliques.

All’origine di A portuguesa – presentato al Forum della Berlinale – , c’è invece il racconto di l Robert Musil, La portoghese (in Tre donne, Einaudi) un libro che Rita Azevedo Gomes, che iniziato lavorando tra gli altri con De Oliveira e Valeria Sarmiento, regista anche di teatro e di opera, curatrice alla Cinemateca portoghese, aveva comprato su una bancarella di libri usati: “Non lo avevo mai letto, era rimasto sul tavolo tra i tanti altri” ricorda. Un giorno però le capita di parlarne insieme a Augustina Bess- Luis, la scrittrice la cui opera ha ispirato quasi tutti i film di De Oliveira: uno scambio di idee, e il film era già lì. In realtà non è proprio così, Azevedo Gomes non si sente ancora pronta per quel film, lo mette da parte e realizza La vendetta di una donna – “Avevo l’impressione che non fosse il momento giusto”

A portuguesa è una giovane donna con magnifici capelli rossi (la sublime attrice Clara Riedenstein) e l’incarnato chiarissimo. Ha sposato un nobile italiano di origini tedesche, Von Ketten – o Delle Catene come lo chiamano – che la porta con sé in Italia, in Trentino, dove è il castello di famiglia ma l’uomo è sempre in guerra mentre lei, che soffre la nostalgia del cielo e del mare del suo Portogallo, rimane sola. E inventa un suo universo, sospeso come la sua esistenza e il tempo che la scandisce, tra la natura e l’umano, piano piano sempre più vicini, perché dio è anche nel lupo o in gatto risponde a chi l’accusa di essere eretica, o nelle piante di cui conosce i segreti e la capacità di cura.

Visivamente magnifico il film è il racconto di un enigma, che è quello dell’arte e dell’invenzione. Come un artista la portoghese sa reinventare il mondo, ne sa cogliere quei piccoli, e apparentemente insignificanti particolari che ne sono la ricchezza, che permettono di lasciarsi alle spalle la realtà per trasfigurarla. Alla noia che assale il marito in tempo di pace, un tempo della “corruzione” oppone questa sua visione in cui la centralità dell’essere vivente si sposta, mette in discussione ogni rappresentazione, è mistero e insieme desiderio, gioia e invenzione. Un universo femminile di memoria, di leggerezza, di meraviglia la cui guida, quasi un coro, è la voce roca di Ingrid Caven. Ancora un’epifania. Ne parliamo a Berlino insieme a Rita Azavedo Gomes.

Cosa ti ha convinta a riprendere il progetto di “A portuguesa?

Il testo di Augustina Bessa-Luis soprattutto. Con lei avevamo già lavorato in un cortometraggio e quando le avevo chiesto se aveva in mente uno scrittore di cui si poteva adattare la storia mi aveva parlato subito del racconto di Musil. Mi ero ricordata del libro che avevo a casa e che non avevo mai letto , e le ho chiesto di lavorarci. E’ vero che dopo A Vingança de uma mulher sarebbe stato di nuovo un film in costume, ma se in un primo momento, nel 2007, quando Augustina mi aveva proposto la sua versione non mi sentivo pronta a realizzarlo,l’esperienza di quel film è stata di aiuto. Anche lì al centro c’era un personaggio femminile che sfidava il suo destino ma diversamente da questo,in modo quasi speculare.

Nel genere “film d’epoca” introduci però continui spiazzamenti a cominciare dalla presenza di Ingrid Caven, che fa quasi da coro, vestita con abiti contemporanei: all’inizio ci porta nel mondo della “portoghese”cantando tra le rovine del castello e la natura il poema “Unter den Linden” (Sotto il tiglio) del poeta tedesco medievale Walther von der Vogelweid.

Ci siamo divertite moltissimo a aggiungere elementi stranianti, non ho mai pensato al film d’epoca tradizionale, piatto, la ricostruzione storica di un passato talmente lontano non credo che sia possibile e non vi trovo nemmeno alcun senso. Preferisco lavorare sull’elemento contemporaneo del testo di Musil – che è poi quanto Augustina è riuscita a cogliere nella sua riduzione – che riguarda sia il periodo storico in cui si svolge, sia la “logica dell’anima”, la relazione cioè che lega questa donna al marito piena di non detti, di sottintesi. Mi sembrava molto intrigante.

Forse è anche il mistero che racchiude il suo sguardo su quanto la circonda,capace di mettere da parte guerra, impoverimento, solitudine rivelando come la tua macchina da presa l’incantesimo della natura, degli animali, del lupo.

Credo che la libertà interiore di questa donna è ciò che le permette di non essere distrutta dal mondo intorno a lei; la sua forza è la capacità di accettare il mondo come è senza avere rimpianti. Non mi faccio troppe domande di fronte a un racconto, mi piace lasciarmi andare a ciò che mi ha conquistato e procedere per intuizioni. La portoghese sa trasformare la propria esistenza in narrazione, il suo sguardo coglie ciò che rimane invisibile.Al contrario il marito, l’uomo, si limita a seguire il ruolo a cui è stato destinato sin dalla nascita, la guerra, il potere, la sconfitta.

Hai scelto un’immagine pittorica, prospettive, composizioni di ogni inquadratura, il rapporto tra le figure e lo spazio sembrano unire diversi riferimenti e epoche.

Amo molto la pittura ma prima del Rinascimento manca di una teatralità e di un movimento con cui rendere l’interiorità. Al tempo stesso se l’immagine rinascimentale è immediatamente riconoscibile ciò che la precede lo è meno, e questo mi ha permesso una maggiore libertà. Potevo scegliere come volevo i vestiti, il deco, a favore della sceneggiatura e della luce che per me è la materia fondamentale su cui lavorare. Ci sono artisti come Caravaggio i cui personaggi anche se non sappiamo nulla di loro narrano in un dettaglio la propria vita.E’ questa immediatezza che cerco, un’atmosfera sentimentale che dice senza spiegare, che lascia la possibilità di immaginare. Nel film volevo che le immagini avessero una fisicità, che si immergessero nella natura,da cui la donna non è separata. Che toccassero più gradazioni di colore, dagli abiti di seta dei personaggi, ai capelli della portoghese – pr me dovevano essere rossi – che ci fossero il giusto tono di blu o di verde.

Nel film non ci sono scene di battaglie, anche per ragioni produttive, non avevamo il budget per gli effetti speciali o come simili. Ma non sarebbero nemmeno servite, perché la guerra rimane nella nostra testa, l’azione si svolge interamente nel castello e le battaglie sono come dei fantasmi, mostrarle sarebbe stato ridondante.La ricostruzione appunto non mi interessa. E’ il paesaggio emozionale che metto al centro, a cominciare dall’enigma che lo attraversa. Dal suo tempo dilatato, di giorni sempre uguali, che è un’illusione.