Autunno 2003, piazza Montesanto, Napoli, a due passi dai Quartieri Spagnoli, incontro Francesca Pilla e Roberto Tesi, Galapagos. Sarà stata una giornata di settembre, quando ancora il sole caldo avvolge Napoli in un’atmosfera estiva.

Francesca, orgogliosa, mi dice: «Ilaria, stiamo cercando una sede per aprire la prima redazione de il manifesto a Napoli. Sei dei nostri?». Non fu semplice lanciare un nuovo progetto editoriale e politico in una Napoli già in preda all’emergenza rifiuti e prossima alle elezioni regionali.

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Francesca Pilla non si perdeva d’animo, andava dritta come un treno.

Le prime assemblee organizzative si tennero nella sede della comunità palestinese in via San Biagio dei Librai. Parteciparono pezzi dei movimenti no-global, centri sociali, la sinistra extraparlamentare, politici, musicisti, scrittori. Si doveva ancora decidere il nome del settimanale campano che la redazione avrebbe pubblicato ogni venerdì in allegato al quotidiano. Dopo diverse proposte, si scelse Metrovie, un modo per coniugare l’idea della trincea posta al centro della città.

Francesca, allora 28enne, che collaborava già da alcuni anni con il manifesto, avrebbe co-diretto il settimanale con Flaviano De Luca. Si occupava di tutto, dal menabò alle foto, dal banchetto della manifesto libri all’organizzazione delle feste di sottoscrizioni.

La redazione trovò casa in un garage dell’editore Attilio Wanderlingh, storico collaboratore de il manifesto. Soffitto basso, vecchi computer, si lavorava giorno e notte. L’insegna era arcobaleno, per quello che divenne il «cortile arcobaleno». Una piccola officina laboriosa, figlia dei movimenti, unita nel motto «un altro mondo è non solo possibile, ma necessario».

In una Napoli erosa dalla disoccupazione e dalla criminalità, più che mai da lì, la sinistra doveva ripartire. Si sparse la voce in città, l’attesa nelle varie anime della sinistra, e non solo, aumentava. Francesca Pilla che era cresciuta «a pane e manifesto», come diceva lei, grazie alla mamma, compagna, Gabriella, era diventata fulcro di una realtà che rischiava di frammentarsi ma che nonostante le difficoltà iniziò a parlarsi, a confrontarsi.

Metrovie dava ampio spazio ad inchieste e approfondimenti, «quello che gli altri giornali non stanno facendo più», dicevamo. A questo si univano le cronache di quartiere, le proteste, i temi del lavoro, i cambiamenti della regione, le stratificazioni della città, i temi dei migranti, le battaglie degli ultimi, gli approfondimenti storici.

Ogni settimana si andava a Roma, in via Tomacelli, a impaginare il giornale. Il primo che si incontrava era Vauro, poi arrivava anche Valentino Parlato. Finalmente il primo numero: 26 marzo 2004. Francesca raccontava con passione le due facce del mercato del lavoro alla vigilia della grande crisi economica globale: la storia di Luciano, 81 anni, che doveva sopravvivere con una pensione di 516 euro, e di Adriana, anziana impiegata dell’Enel, costretta ad andare in pensione solo dieci anni dopo.

Studiosa della politica e delle lingue slave all’Orientale, attivista, vegetariana, amante degli animali e della musica, Francesca Pilla si è dedicata senza sconti al racconto di un Sud depresso, provando con leggerezza e simpatia a far dialogare tutte le anime della sinistra campana un po’ scettiche quando vedevano questa bella ragazza, vispa e «non bacchettona», figlia dei movimenti di Seattle degli anni ‘90.

Con energia, autoironia, una vitalità unica, Francesca ha scommesso su un giornalismo militante, per dare voce a operai, insegnanti, classe media in un’epoca in cui le tecnologie già ammaliavano le firme migliori.

Lei aveva scelto di stare dall’altra parte.

Ha lavorato anche durante la gravidanza, dando poi alla luce una splendida bambina che oggi ha 10 anni.

Francesca con generosità amava «collettivizzare» il lavoro iniziando a far scrivere i collaboratori al suo posto anche sul nazionale.

Napoli era al centro delle cronache italiane: le grandi crisi delle fabbriche, Exide e Montefibre, la faida di camorra, le lotte contro l’inceneritore di Acerra e la privatizzazione dell’acqua.

Il collettivo di giornalisti e collaboratori era nutrito: Pierandrea Amato, Alfonso De Vito, Roberto Del Gaudio, Daniele Sepe, Geppino Aragno, Alessandro Chetta, Eugenio Dionise, Dario Stefano Dell’Aquila, Francesco Basile, Rosario Dello Iacovo, Roberto Fantasma, Giovanna Ferrara.

Per quella piccola redazione passò anche un Roberto Saviano agli esordi, poco prima di iniziare a scrivere «Gomorra».

Dopo tre mesi dall’apertura, la prima batosta: «Ragazzi, stiamo inguaiati con i costi, urge una riunione». Sette mesi dopo, 6 febbraio 2005, una peggiore: «Hanno rapito Giuliana Sgrena, ore 18 presidio in piazza Trieste e Trento per la liberazione di Giuliana e il ritiro delle truppe italiane».

Francesca era la mente e il braccio di un’esperienza unica, finita due anni e mezzo dopo.

Ma il racconto di Francesca è proseguito con tenacia sulle colonne de il manifesto. Neanche la malattia l’ha piegata, provava ancora ad aggiornare il suo blog su il manifesto «Napoli Centrale».

Ci mancheranno il suo sorriso, le sue critiche, il suo affetto, la sua ironia. Ci mancherà una voce che «in direzione ostinata e contraria» ha provato a riempire di senso le istanze della sinistra con un impegno totalizzante, senza mai arrendersi.

Ciao Francesca, alla prossima riunione.