Visioni

L’emozione antiretorica della radio nell’allunaggio

L’emozione antiretorica della radio nell’allunaggio

Cinema 1969 Tutti conoscono le storiche immagini della missione Apollo 11. Ma un gioiello custodito oggi nelle Teche Rai restituisce la vera voce del 20 luglio 1969

Pubblicato quasi 5 anni fa

L’allunaggio è forse l’evento più celebrato di questo 2019. Molte delle storie di quella notte tra il 20 e il 21 luglio hanno a che fare con la meraviglia della sua visione possibile attraverso la tv. Ma rileggendo il Radiocorriere della settimana in cui l’Apollo 11 ha compiuto la sua missione – il n° 29 del 1969 – si ritrova un articolo di Ruggero Orlando, protagonista insieme a Tito Stagno della lunga telecronaca Rai dell’evento, in cui il celebre giornalista pone curiosamente l’accento sulle mancanze della televisione, celebrando al contempo le solide garanzie offerte della radio: nessuno vedrà la passeggiata lunare a colori (nemmeno nei paesi in cui la televisione a colori è già accessibile a tutti – in Italia lo sarà soltanto dal 1977). La radio invece, da lui definita «la sorella più anziana e più umile» del mezzo televisivo, «starà facendo un lavoro più continuo, instancabile; sarà la prima a dirci se qualche cosa non funziona e cioè a tenerci con il cuore sospeso; questa volta per levarsi all’altezza dell’occasione diventerà surrealista».

Suoni oltre la realtà sono quelli che Orlando, che della radio è figlio orgoglioso ed eclettico, segnala come speciali contenuti della radiocronaca dell’allunaggio: la trasmissione dei passi degli astronauti e della vibrazione del suolo lunare provocata dai loro piedi, una vibrazione silenziosa poiché sul satellite manca l’atmosfera. Il filo rosso di entrambe le narrazioni dell’evento, quella televisiva e quella radiofonica, è proprio il sottofondo sonoro costante proveniente, via Houston, dal modulo lunare, fatto delle comunicazioni tra gli astronauti e lo space center Nasa; ma mentre nel momento clou alla tv va in scena il bonario battibecco tra Orlando e Tito Stagno, del quale il primo contestava un annuncio anticipato dell’allunaggio, col risultato di coprire le voci originali e rendere più arduo l’ascolto del dialogo tra il Lander e il centro di controllo, alla radio il momento è onorato con un rigore incredibile, vibrante di emozione, così come sarà per tutta la durata della missione, da una squadra di giornalisti divisi tra Roma, Cape Kennedy e Houston, tra cui spiccano proprio dal Texas Luca Liguori e Francesco Mattioli.

Quel pezzo di radio (alle ore 22.18 del 20 luglio 1969, in diretta sul canale nazionale e sul secondo, oggi disponibile on demand in uno speciale di Rai Radio Techetè) è una tessera di un puzzle che mette insieme tutto il meglio delle opportunità espressive dell’informazione e della divulgazione radiofonica di quegli anni, con uno stile che, riascoltato oggi, lascia davvero stupiti. Si alternano descrizioni estremamente immaginifiche, riservate prima di allora solo a popolari eventi sportivi, del lancio del veicolo spaziale che «s’innalza verso il cielo con un rombo, mentre il crepitio dei suoi motori diffonde nell’aria un’onda sonora che si infrange sulla terra facendola sussultare»; interviste a scienziate come la fisica Ginestra Amaldi che, con voce priva di pathos, rivela agli ascoltatori come apparirà la luna vera – «di un colore scuro, di lava e cenere, quindi proprio un mondo morto» – e che confessa che, personalmente, sulla luna non ci vorrebbe proprio andare.

C’è Alberto Moravia, inviato del Corriere della Sera, che in palese contrasto con il tono distaccato che usa, definisce la missione «meravigliosa, straordinaria, fuori dall’ordinario», ma non miracolosa «perché gli uomini non fanno miracoli, fanno cose umane, razionali»; c’è l’inviata Oriana Fallaci che per antitesi accosta il lancio dell’Apollo 11, «questo razzo meraviglioso» che fa «piangere di gioia», ai bombardamenti in Vietnam che contemporaneamente fanno morire «Dio sa quante creature». Ci sono le voci di Armstrong, Aldrin e Collins, c’è il loro dialogo quasi intimo e confidenziale con il presidente Nixon, che la radio permette di origliare al pari delle conversazioni di una puntata di Chiamate Roma 3131, programma che debutta nel 1969 e che davvero cambierà la storia della radio; ci sono, lungo tutto il percorso, i dettagliati commenti dei cronisti che da soli valgono la trasmissione: la camminata di Armstrong è paragonata a «una farfalla che esce dalla sua crisalide che scopre una nuova vita», e ancora «sembra di vedere un film al rallentatore o di guardare un bimbo che muove i primi passi».

La radio fa il suo lavoro, prendendo una traccia sonora fatta di beep e delle voci degli astronauti in dialogo con la terra, e trasformandola in una «cosmoradiocronaca», un mosaico colorato, antiretorico, ma anche emozionante, tra divulgazione e speculazione filosofica, come quando a parlare è il poeta Alfonso Gatto, che si domanda «se quelli che alluneranno sul nostro caro satellite vadano con l’animo di trovare la luna simile al luogo d’incanto che noi siamo abituati a considerare nelle nostre notti terrene, o andranno con l’animo dei dissacratori, dei profanatori, come per dire ai poeti: guardate come questa vostra luna, sulla quale voi tanto contavate per i vostri sospiri, per le vostre speranze, per i vostri orientamenti, sia soltanto una povera cosa, un povero relitto della terra stessa».

Si vola altissimo alla radio. «Storia, melodia e meraviglia ti colpiscono tutte insieme, in momento di gioia completa e liberazione». Qualcuno ha scritto questa recensione per il disco The Race for Space dei Public Service Broadcasting, duo inglese che nel 2015 ha dedicato un intero album alla corsa allo spazio, utilizzando i campioni sonori delle comunicazioni spaziali, tra cui quelli della missione Apollo 11 nella canzone Go!. Ma avrebbe potuto scriverla per quella notte celeberrima, dove tutti guardavano la tv ma avrebbero dovuto ascoltare la radio.

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