Da giovane, ero fiero dell’esperienza urbanistica dell’Emilia-Romagna rossa che era apprezzata in tutt’Europa e dava lustro all’Italia. Nel 1968, quando il famoso decreto ministeriale sugli standard urbanistici stabilì coraggiosamente che ogni cittadino italiano aveva diritto a non meno di 18 metri quadrati di spazi pubblici (per il verde, l’istruzione, i parcheggi ecc.), l’Emilia-Romagna ci lasciò senza fiato fissando il minimo in 30 metri quadrati.

È dei primi anni Settanta il celeberrimo piano per il centro storico di Bologna, al tempo dell’assessore Pier Luigi Cervellati, che realizzò case popolari mediante interventi di restauro nel centro storico. Infine, negli anni Ottanta, è stata la volta del piano paesistico (assessore Felicia Bottino) che, in attuazione della cosiddetta legge Galasso, ha mirabilmente tutelato il territorio regionale.

Con il nuovo secolo tramonta il primato dell’Emilia-Romagna che, come fosse la Sicilia, arriva a proporre norme favorevoli agli abusivi. A beneficiarne sono soprattutto i comuni costieri che, in nome del turismo, hanno fatto scempio del litorale. Particolarmente grave una legge regionale del 2004 che consente di sanare gli abusi conformi alle regole vigenti
al momento della domanda di condono.

Una norma in contrasto con il testo unico dell’edilizia del 2001 che considera sanabili solo opere conformi alle regole vigenti sia al momento della loro realizzazione, sia al momento della domanda di condono. È evidente la differenza: secondo la norma statale, la regolarità di un’opera dev’essere accertata rispetto al piano regolatore vigente al momento della sua realizzazione, qualunque successiva variante è inservibile e un eventuale abuso resta tale per l’eternità.

Lo stesso abuso è viceversa sanabile in Emilia-Romagna, dove l’accertamento di regolarità di un’opera vale al momento della domanda di condono e quindi rispetto a un piano regolatore approvato anche dopo la sua realizzazione: una variante e l’abuso non c’è più.
Una legge regionale in contrasto con un precetto statale dovrebbe essere abrogata. Invece, per quanto possa sembrare inverosimile, la legge del 2004 dell’Emilia-Romagna non solo non è stata abrogata ma, per così dire, viene recuperata e valorizzata da una recentissima proposta votata in giunta regionale nel novembre scorso, che dovrebbe essere definitivamente approvata prima di Natale.

Con il pretesto della «rigenerazione urbana dei centri storici» (un tempo, per i centri era consentito solo il restauro) la proposta in discussione ripristina il silenzio assenso per le domande di sanatoria relative agli abusi finora non sanati – perché insanabili – grazie ad apposite «varianti semplificate» che, quindi, potrebbero rendere edificabili terreni che non lo erano quando furono realizzati gli scempi; cancellare vincoli di tutela allora vigenti; sapientemente modificare altezze, distanze, volumi, destinazioni d’uso e quant’altro.

Mentre la regione Emilia-Romagna si prodiga alacremente a favore degli abusivi, il governo opera in direzione opposta: il decreto semplificazione recentemente approvato prevede che, in caso di mancato avvio delle procedure di demolizione di un abuso entro centottanta giorni dall’accertamento, la competenza è trasferita all’ufficio del prefetto che provvede eventualmente avvalendosi anche del genio militare. Lunga vita al governo Conte.