Cavezzo un anno dopo. La chiesa è puntellata. «Potrebbe restare così per anni», dicono in paese. Esattamente come molti altri edifici. Le macerie non ci sono più. E ci mancherebbe. Ma i danni del terremoto che qui l’anno scorso ha cambiato la vita di questo comune dell’Emilia sono ancora ben visibili ovunque. Le scuole sono aperte e ricostruite solo grazie alle donazioni private arrivate attraverso i giornali e le televisioni. Lo Stato invece sembra ancora molto lontano e la regione fatica a rispondere alle esigenze di un territorio che sta facendo quasi tutto da solo. Eppure anche nella civile, operosa e solidale bassa Emilia il sisma ha lasciato una crepa ancora più profonda di quelle che si vedono sui muri delle case. La distanza da Roma è diventata un abisso. I riti della politica e i meandri di una burocrazia borbonica stanno producendo disillusione e stanchezza anche in queste popolazioni abituate a rimboccarsi le maniche senza bisogno di aspettare l’aiuto di nessuno. E per la prima volta nel 2012 il Pil dell’Emilia Romagna è stato sotto la media nazionale (-2,5%).
Ieri il presidente della repubblica Giorgio Napolitano ha inviato il suo accorato messaggio nell’anniversario del sisma. Eppure da queste parti in molti pensano che il presidente sia lontano anni luce. «Non si è ricordato di noi neppure nel suo discorso di fine anno», dice una signora in piazza. Enrico Letta ha twittato che farà visita a queste terre settimana prossima, e a Ferrara il presidente della Camera Laura Boldrini ha partecipato alla cerimonia di commemorazione con il commissario straordinario per il terremoto e governatore emiliano, Vasco Errani, che ha parlato di 16 miliardi di fondi disponibili, il capo della protezione civile Franco Gabrielli e il ministro Pd Dario Franceschini. «È importante che non si spengano i riflettori sulla ricostruzione e che il parlamento e il governo non si distraggano – ha detto Boldrini – Farò di tutto perché parlamento e governo rimangano vigili e attivi, che non si dimentichino di questi comuni e degli impegni assunti per completare la ricostruzione». Ma non bastano le parole e le cerimonie. La sensazione comune da queste parti è che le istituzioni siano lontane.
Finora a Cavezzo e negli altri comuni del “cratere” (così si chiama la zona colpita dal sisma) i cittadini si sono autorganizzati. Solo 70 vivono ancora nei prefabbricati. Eppure molte case sono ancora inagibili. 2.700 edifici sono da ristrutturare o ricostruire ma in comune sono arrivate pochissime richieste per fare i lavori. Le famiglie semplicemente si sono adattate a convivere nelle case rimaste agibili. In tanti se ne sono andati, come le aziende che hanno delocalizzato. Oltre alla casa, infatti, il problema è il lavoro. Tanto più grave in tempi di crisi. Le aziende che sono riuscite a riaprire sono quelle che avevano le spalle coperte, ma molte restano chiuse e altre si sono trasferite. «Gli artigiani e i piccoli imprenditori dovrebbero ricevere 15 mila euro – spiega l’assessore alle attività produttive Cristina Taragutti – ma per ora non hanno visto nulla. La regione ha prodotto più di 200 ordinanze sul terremoto, spiegano che stanno cercando di costruire una strategia nuova, vicina con il territorio, ma molti tecnici non riescono più a districarsi nei meccanismi che proliferano e cambiano continuamente».
Questi cittadini hanno pagato le tasse, e quando protestano lo fanno sempre con correttezza e civiltà (anche il disastro del Pd qui è stato contestato ma senza nessuna occupazione delle sedi). Forse troppa, perché così corrono il rischio di essere dimenticati. «C’è sempre chi ci paragona all’Aquila, come dire che c’è chi sta peggio di noi – racconta un ragazzo – Per carità, è vero, ma adesso non fateci passare per fortunati, anche noi siamo stanchi e scoraggiati».
Sono stanchi anche delle polemiche. «Stiamo diventando cinici», ci interessa che si facciano le cose. Ieri, ad esempio, l’assessore emiliano all’agricoltura, Tiberio Rabboni, ha contestato la denuncia della Coldiretti secondo cui seimila aziende agricole danneggiate non hanno ricevuto un euro per la ricostruzione e il settore del parmigiano reggiano si è salvato solo grazie agli italiani che ne hanno comprato un milione di chili in segno di solidarietà.
I dati sui fondi destinati ed elargiti si rincorrono, ma la realtà è sotto gli occhi di tutti. L’Emilia ce la farà ancora una volta con le proprie forze. Altrimenti sarà tutto il paese a non poter contare come ha sempre fatto su uno dei territori cruciali per qualsiasi speranza di ripresa.