«Non lasciatevi ingannare, non è un aiuto umanitario (contro il coronavirus) ciò gli Emirati arabi uniti stanno offrendo a Bashar Assad, è la normalizzazione (dei rapporti)», scrive allarmato Sam Hamad su Al Araby Al Jadid, commentando il colloquio avuto il 27 marzo dal presidente siriano con il principe ereditario di Abu Dhabi Mohamed bin Zayed, di fatto già sovrano degli Emirati. Giornalista schierato contro Damasco, Hamad vede nell’assistenza offerta dall’erede al trono alla Siria nella lotta al Covid-19, uno sviluppo decisivo del processo di riavvicinamento in corso da diversi mesi tra la Siria e alcune delle petromonarchie del Golfo per anni sponsor economico e militare delle formazioni jihadiste anti-Assad. Hamad denuncia il tradimento della «rivoluzione siriana» e accusa Assad di «genocidio». E sorvola invece sui crimini di Arabia saudita e Turchia – alleate dell’opposizione siriana – rispettivamente contro il popolo yemenita e quello curdo nel Rojava (e non solo).

 

I giochi non sono ancora fatti. Però dopo dieci anni di guerra in Siria, con centinaia di migliaia di morti e milioni di profughi e sfollati, l’emergenza coronavirus potrebbe accelerare la ripresa delle relazioni tra Damasco e le altre capitali arabe. Ad eccezione di Riyadh che, a differenza dei cugini negli Emirati, continua a vedere nell’alleanza tra Siria e Iran il «male assoluto». Assad non va di fretta, il tempo gioca a suo favore. Durante la sua intervista, il 24 marzo, con Russia24 ha ripetuto che le relazioni arabo-siriane non sono mai state completamente interrotte, anche dopo l’espulsione di fatto della Siria dalla Lega araba su pressione del Qatar e dell’Arabia saudita che proposero di assegnare il seggio di Damasco ai rappresentanti dell’opposizione siriana. Espulsione, in realtà una sospensione, che, assicura Abir Bassam sul portale di notizie libanese Al Ahed, starebbe per essere revocata.

 

A sollecitare il pieno rientro di Damasco tra le braccia dei «fratelli arabi» sono l’Algeria e l’Egitto di Abdel Fattah El Sisi, che, fatto non marginale, è uno stretto alleato dell’Arabia saudita nemica di Assad. In questi ultimi tre mesi la gravità della pandemia ha oscurato un po’ tutto però dietro le quinte il Medio oriente ha continuato a girare con gli stessi meccanismi di sempre, con alleanze che si formano e si spezzano in continuazione. Il Cairo è deciso ad ostacolare l’espansionismo dell’avversaria Ankara in territorio siriano e alla sua porta occidentale, la Libia. El Sisi quindi si è fatto promotore di un viaggio a Damasco, a inizio marzo, del generale libico Khalifa Haftar lanciato fino a qualche settimana fa in un’offensiva militare per la conquista di Tripoli controllata dal suo avversario Fayez al Sarraj sostenuto, armato e finanziato dal leader turco Recep Tayyib Erdogan. Haftar e Assad hanno siglato un accordo di cooperazione e di sicurezza in funzione anti-turca, sebbene il generale libico non rappresenti ufficialmente il suo paese e non goda del riconoscimento internazionale come il suo avversario al Sarraj. Non pochi ora scommettono che anche sauditi e qatarioti presto metteranno da parte la loro rigidità e ristabiliranno relazioni piene con Damasco.