Con più di mezza giornata di ritardo rispetto all’impegno preso dal sottosegretario Enrico Morando, il governo ha presentato ieri alle 14 l’atteso emendamento pensioni.
IL TESTO CHE DOVEVA TRAMUTARE in norme la trattativa di palazzo Chigi con i sindacati in realtà lo fa solo in parte. Se viene conferma la parte sull’esenzione delle 15 categorie di lavori gravosi – seppure le stime sulle platee sembrano molto generose – manca sia la parte sul fondo per estendere l’Ape social sia la norma – inserita in extremis – che prometteva di aumentare lo sconto per le donne da sei «fino ad un anno per ogni figlio», sempre e solo per le lavoratrici che rientrano nell’Ape social.
LA FIGURACCIA È STATA AMMESSA dalla stessa presidente della commissione Lavoro della camera Annamaria Parente (Pd): «Rimangono fuori dal pacchetto esaminato in Senato la partita Ape sociale e gli interventi in favore delle donne, punti presenti nel documento di impegno del governo ai quali teniamo molto e che dovranno essere oggetto dell’esame alla Camera», ha dichiarato.
Come detto invece i conti del governo sulle platee dei lavoratori che dal 2019 saranno esentati dall’aumento dell’età pensionabile a 67 anni – ci andranno a 66 anni e 7 mesi – appaiono assai generosi. Nella relazione tecnica che accompagna l’emendamento vengono stimate 14.600 persone impegnate in lavori «gravosi». Dati precisi però non esistono, soprattutto su chi rispetta i due paletti previsti per poter entrare nella casistica: 30 anni di contributi e 7 anni di mansione negli ultimi 10 di lavoro. È sull’idea – confermata dal respingimento di moltissime domande per l’Ape sociale – che queste «barriere» siano molto alte che la Cgil aveva stimato in poco più di 4mila i lavoratori coinvolti. Anche prendendo per buona la stima di 14.600, siamo comunque sotto il dieci per cento dei pensionandi del 2019.
STESSO DISCORSO VALE per le risorse impiegate. Il governo stima a regime – e dunque su 10 anni di applicazione – 300,2 milioni di euro, la cifra sbandierata invece come impegno immediato. Gli «effetti negativi per la finanza pubblica» sono pari a 9,4 milioni per il 2018 per salire a 121,9 milioni nel 2019 e aumentando poi più gradualmente negli anni successivi.
GLI «ONERI COMPLESSIVI» tengono conto non solo dei «gravosi» ma anche delle modifiche al Fis, il fondo per i trattamenti di integrazione salariale. Anche in questo caso le stime sono sempre sovrastimate: lo è stato in ogni passaggio di modifica fatto alla riforma Fornero, a partire dalle sette salvaguardie per gli esodati, per le quali alla fine rimanevano sempre soldi non spesi. Lo stesso principio che dovrebbe valere per l’Ape sociale: allungarne l’applicazione usando i fondi risparmiati quest’anno.
Oltre all’emendamento pensioni, il governo ne ha presentati altri 17, anche questi in ritardo. Un ritardo che ha provocato un vero caos nei lavori della commissione. Manca ancora infatti l’emendamento con la proposta di riforma sulle agenzie fiscali e le riformulazioni dei relatori, attese entro oggi alle 12, mentre alle 21 era fissato il termine per la presentazione dei subemendamenti.
MA È SOPRATTUTTO LA POSSIBILITÀ che il tradizionale decreto Milleproroghe di fine anno finisca nella manovra a creare scompiglio. Una mossa che il governo intenderebbe attuare per mettersi al riparo «dall’assalto alla diligenza» di fine legislatura. Il risultato è che la commissione ha dovuto stravolgere il calendario dei lavori: non lavorerà oggi ma per tutto il weekend. In questo modo lo slittamento dell’arrivo del provvedimento in aula appare inevitabile. Così come l’approvazione finale a dicembre.
TRA I PROVVEDIMENTI CI SONO 15 milioni in più per il progetto Industria 4.0 per potenziare le offerte formative degli istituti tecnici superiori, mentre sarà integralmente rifinanziato per il prossimo triennio il bonus bebè, così come chiesto dagli alfaniani. Il costo è molto più alto delle pensioni: 185 milioni nel 2018 e a 403 milioni per ciascun anno nel 2019 e 2020.