Caro Direttore,
il suo giornale il 5 Dicembre ha perorato la causa di un assai discutibile tentativo di istituire un ‘Istituto Nazionale di Ricerche Marine e Polari’, sopprimendo la Stazione Zoologica Anton Dohrn ed accorpandola a quattro istituti sottratti al CNR, attraverso un emendamento da inserire in sordina nella Legge di Bilancio.

L’operazione è discutibile nel metodo e nel merito. La ristrutturazione di enti ed istituti di ricerca si fa attraverso una apposita legge di sistema, e non, impropriamente, attraverso una legge di bilancio al solo scopo di godere del suo effetto traino e quindi senza un discussione nel merito in cui pubblicamente illustrare e discutere le ragioni e la strategia dell’accorpamento proposto, sia dal punto di vista scientifico che rispetto alle priorità del Paese.

Non si fa nascondendola all’intera comunità scientifica che si occupa di ricerca marina in Italia. Un generale che ignora le motivazioni e lo stato d’animo dei propri soldati è quello che prepara le Caporetto. La ricerca scientifica si fonda su principi di aperta collaborazione. E’ ormai riconosciuto universalmente che tali principi debbano essere estesi a tutti i livelli del processo di creazione e diffusione della conoscenza, soprattutto se si vuole ottimizzare l’utilizzo delle risorse, che in Italia sono più limitate che in altri Paesi.

Questo è il senso dell’Open Science, che va dalla condivisione di dati, di metodologie, di processi e strumenti, alla condivisione di idee progettuali e strategie, sempre attraverso un processo di confronto e discussione tra pari. Tutto questo è stato intenzionalmente evitato.

Ma la proposta è ancora più discutibile nel merito. I problemi della ricerca italiana, e quindi anche di quella marina, sono le regole e procedure amministrative farraginose ed inadeguate, la persistenza di norme di epoca fascista sui titoli di studio, la totale irregolarità ed imprevedibilità nei finanziamenti, le procedure di valutazione dei progetti che si sa quando iniziano ma non si sa quando finiscono, lo svilimento di tutti i ruoli di supporto alla ricerca da quelli tecnologici a quelli amministrativi, che sono essenziali per una struttura di eccellenza, l’assenza di momenti di discussione sulle scelte prioritarie anche in relazione ai punti di forza della comunità scientifica italiana, la non condivisione delle infrastrutture e, soprattutto, la mancanza di trasparenza sui processi decisionali, di cui la proposta del nuovo Istituto è un esempio lampante.

Questi problemi sono annosi ma invece di affrontarli e risolverli si fa credere che mettendo tutti insieme in una scatola più grande si risolveranno per incanto. Nell’articolo si menzionano tecnologie marine ed infrastrutture essenziali (ad es. una nave oceanografica) tra le motivazioni principali, ma nell’accorpamento non sono inclusi né gli istituti che la ricerca sulle tecnologie marine la fanno, ed anche ad alto livello, né chi la nave ce l’ha già.

Se proprio si vuole potenziare la ricerca marina, si inizi ad unificare i finanziamenti, che ora vengono distribuiti indipendentemente, e con modalità molto specifiche, da almeno quattro Ministeri, si facciano dei bandi competitivi a scadenza annuale, si rafforzino le infrastrutture, ma per un loro uso condiviso e non lasciate alla giurisdizione di piccoli potentati, e si apra un discussione nella comunità sulle linee di sviluppo della ricerca marina in Italia, in relazione a quelle nel resto del mondo.

Un’ultima considerazione. Sopprimere con un tratto di penna uno dei pochi istituti italiani che abbia giocato un ruolo fondamentale nella storia della biologia ed il cui nome e la cui importanza per la ricerca attuale siano riconosciuti a livello internazionale è la ciliegina sulla torta di un tentativo davvero maldestro.

P. s. Queste considerazioni sono state tradotte in una lettera aperta al Ministro della Ricerca Manfredi

Maurizio Ribera d’Alcalà, ex-Dirigente di Ricerca, ricercatore associato della SZN, IAS-CNR, INO-OGS e rappresente italiano per la piattaforma Knowledge del progetto Bluemed

Risposta del dirigente di ricerca della Stazione Zoologica Anton Dohrn:

Non condivido molto di quello che scrive il Dr. d’Alcalà, ricercatore in pensione, tranne l’analisi dei molteplici limiti che attanagliano la ricerca marina, ma proprio per questo ritengo che il problema non sia il “merito” della proposta, perché il problema della frammentazione e non condivisione delle infrastrutture è un dato certo e inconfutabile. Questo è stato ampiamente confermato durante “Gli Stati Generali della Ricerca Marina, tenutesi a Milano e riproposto con l’appello a firma di Elisa Anna Fano, presidente della Società Italiana di Ecologia, Simonetta Fraschetti, presidente dell’European Marine Biology Symposium e Antonio Pusceddu, già presidente dell’Associazione Italiana di Oceanologia e Limnologia.

Silvio Greco