È assai diffuso in Brasile il sospetto che l’uccisione da parte della polizia di Adriano Nóbrega, il comandante di una delle più violente milizie di Rio, Escritório do Crime, sia un grande regalo per il clan Bolsonaro.

Nessun dubbio, infatti, che il miliziano, accusato di essere coinvolto nell’assassinio di Marielle Franco e del suo autista, fosse diventato una figura estremamente ingombrante per il primogenito del presidente, Flávio, il quale, oltre a concedergli la Medaglia Tiradentes, il massimo riconoscimento dell’Assemblea legislativa di Rio de Janeiro, aveva assunto nel suo gabinetto di deputato statale nientedimeno che sua madre e la sua ex moglie.

Molti i punti oscuri nella vicenda. Benché l’ex membro della polizia militare, latitante da oltre un anno, non figurasse – a sorpresa – nella lista dei criminali più ricercati diffusa il 30 gennaio, proprio da quel momento era partita contro di lui una caccia implacabile, conclusasi il 9 febbraio a Esplanada, a Bahia, con la sua morte durante una sparatoria.

Ma il fatto che 8-10 poliziotti non siano riusciti a catturarlo vivo, malgrado si trovasse da solo in una casa in aperta campagna, non può non alimentare i sospetti di un’azione premeditata. Tanto più che sarebbe stato trovato nell’immobile un solo proiettile.

Altro particolare inquietante: la casa risulta essere di proprietà del consigliere comunale Gilsinho de Dedé, del Partido Social Liberal (quello con cui Jair Bolsonaro è stato eletto nel 2018), il quale tuttavia assicura di non averlo mai conosciuto. E fa sicuramente riflettere il fatto che, come riferito dal suo avvocato Paulo Emílio Catta Preta, Adriano Nóbrega sapesse perfettamente cosa lo aspettasse: «Nessuno è qui per catturarmi», gli avrebbe detto, tanto era sicuro che lo avrebbero ucciso per eliminare un testimone scomodo, uno che sapeva troppo.