«Tanti auguri al nostro Elevato». Scrive così Paola Taverna, vicepresidente del senato della Repubblica italiana, nel suo biglietto di auguri a Beppe Grillo, che ieri a compiuto 70 anni. Quell’appellativo, «L’Elevato», se l’è scelto lui con evidente intento autoironico, per sfottere quelli che contestano la struttura verticale e a volte fideistica del Movimento 5 Stelle ma anche per prendersi gioco dei suoi fan/seguaci.

In settant’anni di vita e quaranta di carriera artistica, Grillo ha capito bene che con l’umorismo si mascherano le contraddizioni, si smontano le potenziali critiche, si dribbla ogni conflitto. Dopo aver realizzato il sogno di ogni attore, quello di essere al centro dell’attenzione, diventando regista e primadonna, senza sottostare a palinsesti e diktat mediatici, il comico e fondatore del primo partito italiano si trova in pianta stabile sul palco che si è costruito, al di là dei confini di scena. Si sente proiettato su un altro pianeta. «Vi aspetto su Marte per il Movimento 6 Stelle! Siamo oltre! Grazie a tutti». Così recita il tweet con il quale ringrazia per gli auguri ricevuti. E si firma, ancora una volta, con quel titolo di merito quasi metafisico: «L’Elevato».

Difficile dar torto a Luigi Di Maio, che da ventenne di provincia seguendo Grillo è diventato prima deputato e adesso ministro e vicepresidente del consiglio, quando porgendo il suo omaggio all’Elevato scrive: «Oggi siamo qui e se siamo qui è grazie a te, grazie alla tua energia contagiosa». È la verità, quasi tutti nel M5S devono tutto al neo-settantenne, nonostante ciclicamente torni la storia dei figli che hanno isolato e messo in pensione il padre. La forza di Grillo sta nell’essere riuscito a traslocare armi e bagagli nel campo della «denuncia», prima coi suoi spettacoli teatrali e poi con il M5S, portandosi dietro i codici del nazional-popolare, il mugugno genovese alternati agli improvvisi sbotti di rabbia dell’uomo medio. Grillo conosce il pubblico, sa fino a che punto si può spingere. Resta un comico tradizionale, che viola le regole al posto del suo pubblico sancendo una sorta di delega assoluta (cosa che a pensarci bene, è il contrario della «politica» e soprattutto del «cambiamento»). In questi settant’anni ha seguito un percorso fatto di rotture ma a suo modo lineare. Trentenne è divenuto famoso comparendo in tv, scoperto da Pippo Baudo. A quarant’anni è stato testimonial pubblicitario. Esperienza che dai 50 ai 60 ha saputo reinvestire prima come performer indignato e poi nella costruzione del potentissimo brand a 5 Stelle.

«Si vota facendo la spesa», diceva Grillo nei suoi spettacoli della fase apocalittico-ambientalista, riecheggiando la folk politics equa e solidale. Anni prima, quando Grillo ancora provava i suoi primi monologhi, James G. Ballard coglieva questo nesso tra ossessione per il consumo e mobilitazione politica: «Il panorama tecnologico ha affrancato i propri elettori, – scrisse Ballard – gli abitanti delle zone commerciali, i pubblici televisivi e i lettori di rotocalchi, votano alla cassa, con il denaro, piuttosto che nella cabina elettorale, con la scheda. Questo enorme elettorato passivo è un terreno privilegiato per ogni opportunista che sappia usare l’armamentario psicologico della paura e dell’ansia, elementi di cui è accuratamente depurato il mondo dei beni di consumo personali e domestici».
Grillo è arrivato al cuore del paese di consumatori. Al punto che nei giorni scorsi Matteo Salvini ha detto una cosa analoga: «Si comincia a fare politica quando si compra italiano». Se votare è come comprare, se l’azione collettiva della politica coincide con quella di massa del consumo, serviva un brand immacolato e un testimonial efficace. Grillo conosce il meccanismo della sospensione del dubbio che è proprio degli spot: così come nessuno si è mai chiesto che diavolo significhi che quel famoso detersivo lavasse «più bianco del bianco» oggi non ha alcuna importanza la fallacia della democrazia diretta made in Casaleggio. «Io ero uno di quelli che ti ha sentito, che si è avvicinato e poi non se ne è più andato», dice ancora Di Maio porgendo i suoi auguri all’Elevato.

Un po’ deve sentirsi anche lui «elevato», «oltre», al riparo da ogni contraddizione, quando elenca, senza timore alcuno, gli insegnamenti del festeggiato: la «democrazia diretta», «Internet», «la trasparenza a ogni costo» e persino lo «streaming», strumento che da anni i grillini hanno archiviato in nome del pragmatismo della politica politicante. Il motivo lo spiega lo stesso Grillo, nel monologo che il M5S ha scelto di diffondere per celebrare la sua festa, pronunciato alla fine della campagna elettorale per le ultime elezioni politiche: «Siamo un paradosso mondiale vivente. E un paradosso è tutto e tutto il suo contrario».