La cena è pronta, la tavola apparecchiata e io, aspettando che i commensali si decidano a staccarsi dai loro lavori/computer, mi apparto sul divano a leggere Campus, rivista scientifica dell’università di Ginevra che, ogni volta, mi svela mondi e ricerche meravigliose. Per non essere disturbata metto la televisione, che sta trasmettendo il telegiornale, sul muto. L’articolo su cui mi concentro parla di biocinetica e si intitola «Dalla proboscide dell’elefante uscirà il robot di domani». Scopro che l’Unione Europea finanzia, con tre milioni e mezzo di euro, un progetto di ricerca che si chiama Proboscis (proboscide), e a cui partecipa, oltre al Dipartimento di genetica ed evoluzione dell’università di Ginevra, un consorzio di cui fanno parte l’istituto Italiano di Tecnologia, la scuola Sant’Anna di Pisa e l’università di Genova.
La ricerca parte dall’intuizione che, per via della sua flessibilità e versatilità, la proboscide dell’elefante è una sorta di sacro Graal per i programmatori di robot. Quando un pachiderma come l’elefante, con la sua protuberanza, è capace sia di delicatezze estreme, come raccogliere un fiore, o di prove di forza, come sollevare 270 chili, siamo di fronte a qualcosa che merita un grande rispetto e da cui possiamo imparare tantissimo.

IL GRUPPO di ricercatori è andato in Sud Africa, ha individuato due elefanti di circa vent’anni, protetti da un centro di conservazione della fauna che si chiama «Avventure con gli elefanti», ha applicato lungo le loro proboscidi dei marcatori, i marcatori hanno rilevato tutte le traiettorie e i movimenti, poi registrati, con grande precisione e in 3D, da una decina di telecamere a raggi infrarossi. È una tecnologia mutuata dal cinema e già usata per creare i personaggi di Gollum ne Il Signore degli Anelli o di Na’vi in Avatar. È bello sapere che il cinema può servire alla scienza.
Gli elefanti africani hanno poi fatto il loro lavoro, spostando e sollevando oggetti, e si è scoperto che, quando devono prendere e trasportare qualcosa, la proboscide si allunga e si ritrae in parti specifiche, e in modo modulare, che uno stesso movimento può servire a più funzioni, per esempio, la suzione è utile, alla proboscide, sia per sollevare un oggetto leggero, sia per mantenere la presa quando sposta qualcosa di più pesante, che se deve afferrare qualcosa di lato, forma dei segmenti rigidi come se fossero articolazioni virtuali, che certi movimenti hanno la stessa relazione matematica della mano umana quando disegna. Ora bisognerà capire come tradurre queste informazioni in un robot capace di movimenti morbidi, che assomiglino a quelli di una proboscide.

LUCIA BECCAI, ricercatrice presso l’Istituto Italiano di Tecnologia e coordinatrice del progetto, ha detto che un prototipo potrebbe essere pronto fra circa un anno. Il robot che imita la proboscide potrà servire nella produzione industriale, per operazioni di ricerca e soccorso, nella sanità per sollevare e aiutare persone con difficoltà motorie.
Ho alzato gli occhi sulla televisione, che era ancora in modalità muta. C’era un servizio sull’elezione del presidente della Repubblica. In primo piano si vedeva Silvio Berlusconi, in piedi, davanti al cancello di una delle sue ville, che salutava sorridendo alle telecamere. La giacca mal conteneva il busto appesantito, i pantaloni ricordavano quelli di una tuta da ginnastica, il fondotinta sul viso era visibilmente troppo scuro, i denti troppo bianchi, i capelli sembravano incollati alla testa. Sono tornata a guardare le meraviglie della proboscide.
Il prossimo che, per sottolineare la goffaggine di qualcuno, gli dirà che è come un elefante in una cristalleria, sappia che gli piacerebbe, a lui, averla, una proboscide.

mariangela.mianiti@gmail.com