Dismisura, abuso di potere e degrado”. Lele Mora nella dichiarazione spontanea resa ieri alla corte del processo Ruby II cita gli articoli di Giuseppe D’Avanzo su Repubblica per descrivere quello che è successo nei famigerati festini di Arcore. Uscito dall’aula, però, davanti ai giornalisti fa marcia indietro: “Ad Arcore non c’è stato niente di male, Berlusconi è un amico e non è uno che fa prostituire la gente”. Il degrado, spiega, riguardava se stesso, non il Cavaliere.

Un colpo al cerchio e un colpo alla botte. Così, pateticamente, l’ex agente dei vip, cerca di giocarsi la carta del “mea culpa” di fronte ai giudici, senza mostrare troppo in pubblico che di fatto questo significa tradire l’amico Silvio. Le sue parole ieri in aula sono state inequivocabili: “E’ vero che ho partecipato alle feste, ho accompagnato alle cene alcune ragazze, ed è vero anche che ho ricevuto un prestito da Berlusconi tramite Emilio Fede. Ma non ho mai voluto condizionare le ragazze, ne ho mai orientato le loro condotte con costrizione”. Mora ha detto di rispettare il lavoro degli inquirenti e ha chiesto scusa a tutti: “Quando sono stato scarcerato pensavo alle tante polemiche che ho fatto contro i giornalisti e i comunisti con minacce di cui mi vergogno”. Adesso dice di voler solo “uscire a riveder le stelle” e chiudere con questa “bufera infernale che mi ha tolto tutto”.

Per riuscirci, però, è costretto a incrinare la tesi difensiva tutta all’attacco che ha sempre sostenuto Berlusconi. La strategia di Mora è stata chiarita poco dopo dall’arringa del suo avvocato Gianluca Maris. “La venialità, l’arrivismo e l’ambizione delle clienti e del contesto – ha detto l’avvocato – sono evidenti a tutti, ma quello che non era evidente per Mora era quello che potevano decidere di fare autonomamente le ragazze”. Insomma Mora le portava ad Arcore, ma il dopo cena non era una cosa che lo riguardava. Quello sarebbe stato un affare tra le ragazze e il Cavaliere. Dunque nessun favoreggiamento o induzione alla prostituzione.

L’avvocato quindi ha chiesto che il suo assistito venga assolto perché il fatto non è reato. Secondo l’avvocato bisogna distinguere tra una condotta di dubbia moralità come quella immortalata dal documentario “Videocracy” e l’aspetto giuridico e penale. Mora avrebbe solo fatto lo “spregiudicato talent scout”, ma senza nessuna “partecipazione psicologica” rispetto a quello che accadeva durante il bunga bugna. Inoltre il legale ha chiesto che vengano riconosciute tutte le attenuanti generiche e proprio per questo Mora ha interpretato il ruolo dell’uomo provato e disperato sulla via del pentimento. L’amico Silvio è servito.

La prossima udienza è fissata per il 5 luglio. L’accusa ha già chiesto una pena di 7 anni sia per Mora che per Emilio Fede e Nicole Minetti. La sentenza dovrebbe arrivare entro il 19 luglio.