Leiris l’etnologo con la sensibilità da scorticato
Maschera Kuba pubblicata da Carl Einstein in Negerplastik,1915
Alias Domenica

Leiris l’etnologo con la sensibilità da scorticato

Dal surrealismo all'arte tribale Il «secondo mestiere» di Michel Leiris, che aderì alla missione Dakar-Gibuti da cui sortì L’Africa fantasma (1934), è ora oggetto di una documentata ricostruzione di Renzo Guolo, Meltemi
Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 24 aprile 2022

Michel Leiris ha attraversato come una cometa il cielo incandescente del Novecento, interessandosi alle più svariate discipline. Potremmo parlare, nel suo caso, di un testimone d’eccezione, di un poligrafo che passa indifferentemente dalla poesia al romanzo, dalla critica d’arte (Bacon, Giacometti, Picasso, Masson, Mirò, Lam) all’etnologia, dall’annotazione speculativa a quella autobiografica.

Oltre al Journal che abbraccia il periodo che va dal 1922 al 1989, anno in cui scomparve quasi novantenne, bisogna ricordare la tetralogia La Règle du jeu, di cui in italiano sono stati tradotti solo i primi due volumi per Einaudi: Biffures e Carabattole (possibile che non ci sia un editore illuminato che porti a termine l’opera allestendo la versione di Fibrilles e Frêle bruit?). A tal proposito preponderante è il lavoro compiuto sulle «forme parassitarie» del linguaggio (vedi le frequenti metatesi) e sul significante, investigati alla stregua di un’occorrenza biografica inscritta «nella certezza della sua mediocre povertà e della sua insensatezza» (Ivos Margoni). Non è un caso che Zanzotto si sia esercitato nella traduzione di quell’Età d’uomo che rappresenta il tentativo di far aderire figure mitologiche come quelle di Lucrezia e Giuditta, contrapposte alla Proserpina di Biffures, in un ambito moderno che rimanda a dinamiche tradizionali inerenti a erotismo e sacralità. Si pensi anche all’attrazione mai rinnegata per la corrida, riversata in Miroir de la tauromachie (1938) e altri testi.

Di Leiris si ricorda soprattutto l’adesione al surrealismo, movimento dal quale venne espulso nel ’29 con la pubblicazione del Second manifeste di Breton, insieme ad altri intellettuali di rilievo che risposero a tono pubblicando l’opuscolo Un cadavre che riprendeva l’idea di un violento libello indirizzato dagli stessi surrealisti contro la figura passatista di Anatole France. In questo periodo Leiris si segnala soprattutto come poeta, centellinando i suoi versi enigmatici sulla «Révolution surréaliste» e in due sillogi a tiratura limitata quali Simulacre (1925) e Glossaire: j’y serre mes gloses (’39), illustrate da Masson e stampate dalla Galerie Simon che faceva capo a Daniel-Henry Kahnweiler, il famoso mercante di Picasso, di cui Leiris aveva sposato la figliastra Louise Godon, soprannominata Zette (successivamente queste prove confluiranno nel riassuntivo Mots sans mémoire, edito nel 1969, che idealmente affianca Haut mal del ’43).

Il «secondo mestiere» di Leiris fu tuttavia quello dell’etnologo e dell’africanista che si consolidò dopo la partecipazione alla celebre missione Dakar-Gibuti, organizzata da Marcel Griaule dal maggio 1931 al febbraio 1933. Leiris anticipò alcune sequenze di tale resoconto su «Minotaure» e sulla N.R.F., prima di licenziare L’Afrique fantôme, titolo suggerito da André Malraux, direttore della collana gallimardiana «Les documents bleues», dove il testo fu accolto nel ’34, suscitando reazioni ostili da parte degli specialisti per il suo approccio metodologico considerato antiscientifico.

Queste vicende sono ricostruite con ricchezza documentaria e ammirevole senso della misura da Renzo Guolo in Michel Leiris etnologo Un terreno di lacerazione, che Meltemi manda in libreria (pp. 280, € 22,00) a distanza di pochi mesi dalla riproposta (Quodlibet) dell’Africa fantasma nella versione di Aldo Pasquali, originariamente apparsa da Rizzoli nel 1984. Guolo ripercorre le vicissitudini esistenziali di Leiris, soffermandosi in particolare sui suoi interessi etnologici, contestualizzandoli con frequenti (e doverose) incursioni in campo letterario e umanistico. D’altro canto il trasporto manifestato per il continente africano derivava da suggestioni poetiche: la scelta radicale di Rimbaud di autoconfinarsi ad Aden e Harar nel tentativo di rinnegare la Musa in favore del commercio, nonché lo sconclusionato romanzo Impressions d’Afrique di Raymond Roussel, il controverso inventore delle machines célibataires di duchampiana memoria che Leiris conobbe e frequentò sin da bambino. L’interesse medesimo per l’etnologia, vissuto quasi controvoglia, si manifestò mediante dubbi e ripensamenti costanti, con un taglio epistemologico declinato intorno a una «sensibilità da scorticato», come viene definita in Biffures.

Abbiamo così l’opportunità di addentrarci in un mondo complesso e articolato: dalla collaborazione a «Documents» al Collège de sociologie (esperienze condivise con gli amici Bataille e Caillois), dalla frequentazione di alcuni dei maggiori etnologi del tempo (oltre al succitato Griaule, bisogna ricordare Mauss, Métraux, Rivet, Rivière) alla designazione a responsabile della sezione africana del Musée de l’homme, nato dalle ceneri del Museo etnografico del Trocadéro. Da segnalare anche la pionieristica opera di approfondimento compiuta sulle varie espressioni dell’arte tribale, sull’onda di Nergerplastik di Carl Einstein, che approderà a L’Afrique noire. La création plastique, edito nel 1967 nella collana «L’univers des formes» di Gallimard diretta da Malraux (in italiano da Feltrinelli e poi da Rizzoli).

Ma è soprattutto nell’ambito della ricostruzione degli studi compiuti presso popolazioni autoctone che si configurano i momenti più salienti dell’opera, con i riferimenti al concetto primitivo di «possessione» manifestatosi attraverso l’inchiesta sugli zar di Gondar e la conoscenza di Emawaysh, la «principessa di cera», e sul vudu haitiano appreso mediante l’intercessione di Alfred Métraux. Numerosi i lavori licenziati in tal senso, a cominciare da La possessione e i suoi aspetti teatrali tra gli etiopi di Gondar che va ad aggiungersi agli studi eterocliti sui dogon e al concetto di «negritudine» derivato da Aimé Césaire e, in parte, da Léopold Sédar Senghor. Molto importanti al riguardo i contributi contro razzismo e colonialismo (Leiris fu uno dei firmatari del Manifesto dei 121 sul diritto all’insubordinazione nella guerra d’Algeria, rivendicando al contempo la facoltà dell’etnologo di diventare una sorta di «avvocato designato» delle popolazioni colonizzate), nonché una serie di argomentazioni incentrate su Razza e civiltà, come si intitola un suo celebre saggio, che gli valsero il plauso di Lévi-Strauss.

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