In Spagna sì. Al parlamento europeo a Bruxelles sì. In Italia no: è terminato prima di cominciare, all’aeroporto di Fiumicino di Roma, il viaggio di Leila Khaled in Italia. Ufficialmente per la non validità del visto Schengen (che gli organizzatori del tour smentiscono), ufficiosamente per la campagna da settimane attiva online e sui quotidiani nazionali per non far parlare l’attivista palestinese nel nostro paese.

Leila Khaled fa ancora paura. Una raccolta firme è stata lanciata sulla piattaforma Change.org «contro la terrorista palestinese», mentre sui media esponenti della comunità ebraica italiana denunciavano «la visita dell’ex terrorista».

La stessa che a fine settembre ha parlato a Bruxelles, su invito di membri del parlamento Ue, del ruolo delle donne nel movimento di liberazione palestinese. In Spagna ha fatto altrettanto.

Leila Khaled oggi
Leila Khaled oggi

 

In Italia era attesa a Cagliari, Napoli e Roma, tre incontri organizzati dall’Udap, l’Unione democratica arabo-palestinese. Che ora denuncia: il visto era valido.

Diversa la versione del ministero degli interni: «Le normali procedure di verifica sulla regolarità dei titoli necessari hanno evidenziato come fosse sprovvista di un visto Schengen in corso di validità». È successo martedì, ora Khaled è di nuovo in Giordania, dopo essere stata imbarcata sul primo volo.

A muovere il ministero è stata l’interrogazione parlamentare presentata alcuni giorni fa da Mara Carfagna, portavoce di Forza Italia e consigliere comunale a Napoli (Khaled avrebbe dovuto parlare all’Asilo Filangieri dove era stato invitato anche il sindaco della città, De Magistris): chiedeva conto a Minniti degli incontri previsti «in un momento così delicato per la lotta contro il terrorismo internazionale».

Tanto rumore e tanta indignazione a cui alcuni quotidiani italiani hanno dato voce e che secondo gli organizzatori altro non sono stati che un atto di censura. Come quelli che hanno caratterizzato l’ultimo anno, una sequela di cancellazioni di eventi sulla questione palestinese a seguito delle aperte pressioni della comunità ebraica italiana e dell’ambasciata israeliana.

A marzo la Sapienza negò all’ultimo momento la sala per l’evento «È tempo di giustizia in Palestina. Le responsabilità dell’Europa», organizzato tra gli altri da Arci, Fiom e Assopace nell’ambito delle celebrazioni per i 60 anni del Trattato di Roma.

Pochi giorni prima il Comune aveva bloccato la programmazione di tre film palestinesi al Nuovo Cinema Aquila di Roma. A febbraio Sinistra Italiana aveva revocato la richiesta di una sala in Campidoglio per un evento della campagna Bds (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni) a cui doveva prendere parte Ann Wright, ex diplomatica e marine Usa, oggi attivista per i diritti umani, dopo le accese proteste dell’ambasciata di Israele e della comunità ebraica romana.

Forse non è Leila Khaled a far paura. A far paura è la Palestina, sradicata dal discorso politico – a partire da quello di sinistra – e ridotta da lotta anti-colonialista a mera questione di ordine pubblico. Khaled è un simbolo per molti: per Israele è emblema del terrorismo, per gli anti-sionisti di resistenza.

È stata motivo di ispirazione politica per tanti palestinesi che l’hanno conosciuta negli anni ’60 e ’70 quando, da militante della formazione marxista Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (Pflp), compì due dirottamente aerei. Entrambi si conclusero senza vittime, Khaled non ha mai ucciso: l’ordine del Pflp era di non mettere nessun passeggero in pericolo (nel secondo caso, non usò le due granate che aveva con sé quando intervenne la sicurezza).

Rifugiata dal 1948, è tuttora membro dell’Ufficio politico del Consiglio nazionale palestinese, per il quale lavora da Amman dove è in auto-esilio per evitare l’arresto in Israele.

Sullo sfondo resta un paese, l’Italia, non più capace di affrontare la questione palestinese se non a colpi di censura e rimozione del dibattito.