Una verità scomoda, che fatica ad attecchire nel dibattito pubblico in virtù della macchinosa polarizzazione tra scientisti e anti scientisti, è quella che si cela dietro la questione xylella in Puglia. Il leitmotiv di questi anni che ha condizionato l’opinione pubblica e le scelte politiche può essere riassunto nei titoloni che in modo martellante si sono ripetuti sulle testate locali e nazionali. «Emergenza: milioni di ulivi infetti» è quello a cui siamo stati abituati. Peccato che i dati ufficiali differiscano ampiamente da quelli diffusi dalle maggiori associazioni di categoria. Basti pensare ai risultati del monitoraggio realizzato dall’Osservatorio fitosanitario della Regione Puglia quest’estate: su oltre 31mila piante campionate, in Salento, ovvero in zona infetta, solo il 2,5% presenta il batterio xylella fastidiosa che ne causerebbe, secondo la versione più in voga, il disseccamento. Andando più a nord, nella zona di contenimento, la percentuale diminuisce ancora ed è fissata all’1%.

Lo scenario è più complesso delle semplificazioni che imputano alla sola xylella la causa del disseccamento. Tant’è che vi sono ulivi secchi che non presentano il batterio. Altri, invece, pur rigogliosi, che risultano contagiati. E altri ancora, emblematico il caso di un ulivo in provincia di Bari a Monopoli, rivelatisi falsi positivi.
In questo marasma di constatazioni hanno provato a fare chiarezza l’autrice Elena Tioli, i due giornalisti Francesca Della Giovampaola e Filippo Bellantoni, assieme al videomaker Simone Cannone. Il risultato è un raffinato lavoro documentaristico. Legno vivo. Xylella, oltre il batterio ha la capacità di raccontare le verità scomode che si celano dietro quella che da più parti viene considerata esclusivamente un’epidemia, e non una questione scientifica, agricola, economica, ambientale, sanitaria e sociale. La potenza delle immagini aiuta a veicolare le numerose contraddizioni che persistono nella gestione del fenomeno del disseccamento degli ulivi. Fa da sfondo l’aspetto identitario di un popolo, quello pugliese in questo caso, che affonda le proprie radici nell’antichità. Ed è il paradosso storico a tornare nel lavoro filmico. Quello che contrappone la sacralità riconosciuta agli ulivi nell’antica Atene, dove era prevista la pena di morte per chi osava tagliarli, e la contemporaneità in cui, invece, chi si oppone alle eradicazioni rischia di essere perseguito penalmente. Se nell’antica Atene all’areopago era attribuito il compito di vigilare sull’integrità degli ulivi, oggi le istituzioni sono concordi nell’urgenza di abbattere le piante infette – talvolta considerate tali solo attraverso un esame visivo – e tutta la vegetazione che le circonda nel raggio di 100 metri. Persino Ulisse aveva costruito la propria abitazione attorno a un tronco di ulivo, al cui interno aveva collocato il letto nuziale. «Cresceva, dentro al cortile – si legge nel ventitreesimo capitolo dell’Odissea – un tronco d’olivo dalle foglie sottili, rigoglioso, fiorente, largo come una colonna. Intorno a questo io eressi il talamo». Con queste parole l’eroe greco dissipa ogni dubbio alla sua amata e la narrazione volge così verso il ricongiungimento della coppia. Oggi quei tronchi, a prescindere dalla storia millenaria che conservano, vengono recisi.

DAL 2013 IN PUGLIA GLI ULIVI si abbattono per legge. E la panacea di tutti i mali sembra essere il reimpianto di specie considerate più resistenti al batterio, sebbene non vi siano ancora evidenze scientifiche. Specie che altrove, come in Spagna, dove gli autori hanno intervistato agricoltori e ambientalisti, hanno prodotto una catastrofe sociale ed ecologica. Filari di superintensivi, nella provincia di Almeria, da anni hanno sostituito le piante autoctone favorendo la desertificazione del territorio, oltre che lo spopolamento. «Ho voluto portar fuori dalla Puglia questa questione perché non è solo pugliese. Si sta perdendo un patrimonio globale e si sta creando un precedente pericolosissimo», fa sapere l’autrice Elena Tioli. In Legno vivo il tentativo di scardinare il localismo in cui è stato circoscritto il fenomeno xylella è evidente. Lo denuncia lo stesso Marco Nuti, microbiologo del suolo dell’Università di Pisa: «L’espianto – avverte – non viene fatto in Toscana, dove c’è il batterio. Non viene fatto in Francia, dove pure c’è. Non è stato fatto in Corsica». Anche un altro scienziato, il neurobiologo vegetale Stefano Mancuso, punta il dito sulla vera impellenza: «Se non cambiamo davvero istantaneamente e se non ci mettiamo in relazione con l’ambiente in maniera diversa, prima estingueremo le altre specie, cosa che stiamo già facendo, e poi alla fine ci estingueremo anche noi». Per comprendere quanto sta accadendo, gli autori hanno intercettato vari aspetti del fenomeno. Anzitutto, come fa notare la ricercatrice dell’Università di Foggia Margherita Ciervo, «la distribuzione marcata di erbicidi nelle province di Lecce e di Brindisi tra il 2003 e il 2009». C’è poi la testimonianza del giornalista e sociologo Eurispes Luigi Russo, recentemente scomparso, che parla di «metodo mafioso». Non è il solo. Anche l’imprenditore oleario Giuseppe Vinci avverte: «Quello che sta accadendo puzza di mafia». Non mancano i pareri tecnico-giuridici dei costituzionalisti Nicola Grasso e Alberto Lucarelli. Né quelli di altri scienziati, come Massimo Blonda, ex direttore scientifico di Arpa Puglia, Margherita D’Amico, biologa e patologa vegetale, e l’ambientalista indiana Vandana Shiva. È lei a lanciare un appello: «Cittadini della Puglia ribellatevi». Tra gli intervistati figurano anche i medici per l’ambiente preoccupati per le conseguenze devastanti dei pesticidi sulla salute dei cittadini. «È finito il tempo di girarsi dall’altra parte – spiega l’autrice Elena Tioli – il non mi appartiene ci ha portati fino qui. Se vogliamo cambiare qualcosa dobbiamo ripartire dalla terra e dagli agricoltori». Questo documentario, una voce fuori dal coro, prova coraggiosamente a farlo sfidando le censure.