Oltre 10.500 firme in pochi giorni e il governo britannico prende una posizione (poco incisiva in verità) sul caso Regeni. Sollecitato da una petizione online partita da accademici dell’Università di Cambridge, quella in cui Giulio conduceva la ricerca di dottorato sui sindacati egiziani, il Foreign Office (il Ministero degli Esteri di Londra) ha pubblicamente chiesto all’Egitto di procedere con un’inchiesta «completa e trasparente» e ha fatto sapere di aver sollevato la questione direttamente con Il Cairo e di essere in costante contatto sia con l’Italia che con l’Egitto.

Non nascondono la delusione i colleghi di Giulio a Cambridge: «Non sarebbero dovute servire 10mila firme per far chiedere al governo un’inchiesta indipendente – dice la professoressa Alexander – Sentiamo di continuo di come l’economia britannica beneficia dei legami tra il governo di Londra e quello del Cairo». Da Cameron volevano di più – dicono gli amici di Giulio – di «una debole condanna» a ben due mesi dall’omicidio e che si accompagna alla visita del presidente francese Hollande per firmare cospicui accordi commerciali e militari con l’Egitto. Insomma, l’Europa non è poi così compatta nella risposta ai vertici del paese nordafricano.

Per ora le pressioni reali su al-Sisi arrivano dall’interno: dalla stampa progovernativa, sempre più critica verso i vertici, e da quella indipendente che ogni giorno riporta le ultime novità sul caso. L’apparentemente monolitico regime inizia a mostrare le crepe e c’è chi ne approfitta, come il leader del partito di opposizione “Free Egyptians”, Naguib Sawiris, che ieri a Roma ha discusso con la commissione Affari Esteri della Camera degli obblighi in capo al Cairo nell’inchiesta sull’omicidio di Regeni.

Ovviamente non manca chi difende a spada tratta il presidente: è il caso del quotidiano al-Wafd, voce del partito nazionalista al-Wafd che, nello stesso giorno delle critiche britanniche e citando non meglio identificate fonti della sicurezza egiziana, etichetta Giulio come spia di sua Maestà e la sua morte un complotto straniero e islamista per distorcere l’immagine dell’Egitto del golpe a livello internazionale.

Fumo negli occhi che non distoglie l’attenzione dalla chiusura egiziana. Sulle dichiarazioni della procura generale che lunedì parlava di caso chiuso, è tornato ieri il ministro degli Esteri Shoukry: la cooperazione con l’Italia non è interrotta come riportato dai media italiani e l’inchiesta prosegue, ha detto, aggiungendo che il suo paese ha presentato a Roma tutto quello che era stato richiesto, eccezion fatta per tabulati che violerebbero la costituzione egiziana.

E proprio sui tabulati l’Egitto non concede nulla di più di quanto detto sabato in conferenza stampa dalla procura generale: «Esamineremo noi i tabulati telefonici nelle tre zone in cui Regeni viveva, dove è stato rapito e dove è stato ritrovato – ha ribadito ieri il ministro degli Esteri Shoukry – Poi informeremo la parte italiana dei risultati. Ma ci vorrà tempo, mesi». Forse un anno visto il paragone che Shoukry fa con l’omicidio dell’ex procuratore generale Hesham Barakat: «Abbiamo impiegato quasi un anno per trovare gli assassini di Barakat».

Niente di nuovo giunge dal Cairo e allora si guarda all’Italia dove ieri il ministro degli Esteri Gentiloni ha incontrato l’ambasciatore Massari, dopo il suo rientro dalla capitale egiziana. Nel meeting di ieri e in un secondo previsto per oggi, la Farnesina ha fatto sapere che valuterà insieme al proprio rappresentante diplomatico in Egitto i nuovi passi da compiere per fare reali pressioni sul Cairo.