Sulla «legittima difesa» si consuma l’ultima sfida tra gli alleati del governo giallo-verde. La competizione, sempre accesa, tra M5S e Lega evidentemente non può giocarsi solo su terreni diversi e alternativi.

E così, mentre da un lato il ministro dell’Interno Matteo Salvini accelera sulla messa a punto del «pacchetto sicurezza» che potrebbe essere pronto entro l’estate e potrebbe inglobare i punti cardine del progetto di legge sulla «legittima difesa» depositato il 23 marzo scorso dal suo braccio destro Nicola Molteni, dall’altro il Guardasigilli Alfonso Bonafede coglie l’occasione dell’audizione alla Camera sulle linee programmatiche del suo dicastero per scendere nell’arena pistolera e definire «una priorità» le modifiche del codice penale finalizzate ad agevolare l’uso di armi contro i malintenzionati che si intrufolano in casa o nel posto di lavoro.

«Per me la legittima difesa è un tema che riguarda la giustizia, non la sicurezza – ha affermato il ministro pentastellato davanti ai deputati della Commissione giustizia – Lo Stato ha fallito se il cittadino si trova da solo a doversi difendere di fronte ai criminali in casa; il cittadino deve almeno sentire di non essere abbandonato nel momento in cui deve dimostrare la propria innocenza nell’aula giudiziaria». E per andare in questa direzione, spiega Bonafede, «bisogna eliminare le zone d’ombra che rendono difficile e complicato dimostrare che si è agito per legittima difesa».

La questione però, sia nella visione leghista che grillina, è sempre la stessa: ribaltare la proporzionalità tra offesa e difesa e invertire l’onere della prova in favore di chi si “difende” con le armi. Un punto, questo, sul quale dissente invece l’Associazione nazionale magistrati: «Non si può prescindere dal principio di proporzionalità tra offesa e difesa – afferma il presidente dei giudici Francesco Minisci – altrimenti si giustificherebbe la commissione di reati attraverso l’eliminazione di questo fondamentale principio. Così come non si può prescindere dalla valutazione del giudice sul singolo fatto, dal suo libero convincimento».

Per l’Anm inoltre «occorre evitare automatismi anche nella possibilità di accesso alle armi, con una valutazione rigorosa dei requisiti soggettivi di chi compra un’arma, altrimenti il rischio è l’uso indiscriminato delle armi da parte di tutti».

Un’altra priorità del ministro di Giustizia, da inserire nel pacchetto di provvedimenti «pronto entro l’autunno», è la riforma della prescrizione che, nella visione condivisa nel governo giallo-verde, dovrebbe azzerarsi automaticamente una volta emessa la sentenza di primo grado. Tralasciando il diritto di ogni cittadino ad un giusto processo in tempi ragionevoli e all’oblio in caso contrario, Bonafede ribalta invece il paradigma partendo da quel dato – l’9,4% dei procedimenti «finiti nel nulla» nel 2017, contro l’8,7% del 2016 – che descrive a suo dire «l’abnorme quantitativo di procedimenti falcidiati dalla scure dell’intervenuta prescrizione». Un’interpretazione che trova totale disaccordo nell’Associazione nazionale forense che spiega: «L’inefficienza del sistema giustizia non può ricadere solo sull’imputato».

Gli avvocati italiani, contrari anche a qualsiasi «norma che faccia scattare una sorta di far west», plaudono invece all’annunciato stop alla riforma delle intercettazioni. Bonafede infatti ha rimarcato ieri ancora una volta che a suo modo di vedere «le modifiche introdotte» dal precedente governo sulle modalità di utilizzo delle intercettazioni «appaiono come un dannoso passo indietro sulla strada della qualità ed efficacia delle indagini e rispetto alla corretta distribuzione dei compiti funzionali tra i diversi soggetti coinvolti».

D’accordo anche l’Anm che chiede di riscrivere completamente il provvedimento, eliminando quelle parti che finirebbero per procurare danni alle indagini, come ad esempio l’archivio riservato alle conversazioni giudicate irrilevanti dalla polizia giudiziaria.