Ha lasciato trascorrere quasi tutti i trenta giorni, il tempo massimo per la promulgazione, poi ieri il presidente della Repubblica ha firmato la legge sulla legittima difesa approvata definitivamente dal senato il 28 marzo. Ma ha accompagnato la firma con una puntuale e preoccupata lettera ai presidenti di camera e senato e al presidente del Consiglio.

UNA PRASSI, questa della promulgazione con osservazioni – non giuridicamente rilevanti, ma politicamente pesanti – che è cominciata con Ciampi al Quirinale, è cresciuta con Napolitano e si è affermata negli ultimi anni. In passato Mattarella ha promulgato con notazioni il codice antimafia, il decreto sicurezza, la commissione d’inchiesta sulle banche. Stavolta, di fronte alle maglie larghe per l’autodifesa domestica volute dalla Lega e subite dal M5S, il presidente sente di dover richiamare soprattutto due questioni “evidenti” per limitare la libertà di affrontare in armi gli intrusi. Deve farlo proprio perché il testo della legge, concepito come un volantino elettorale, tende al contrario ad autorizzare qualsiasi eccesso di reazione.

IL CAPO DELLO STATO ricorda che«il fondamento costituzionale» della legittima difesa sta nella «esistenza di una condizione di necessità». Chi si difende, in altre parole, deve trovarsi in una condizione di reale pericolo che non sia possibile fronteggiare in altro modo. Mattarella anticipa cioè quella interpretazione “costituzionalmente orientata” della legge con la quale i giudici potrebbero vanificare buona parte della riforma salviniana.

DEL RESTO una cosa del genere era già accaduta dopo la riforma del 2006, con la quale la stessa Lega aveva introdotto la presunzione di proporzionalità della reazione, in tutti i casi in cui l’autodifesa era esercitata all’interno delle mura domestiche (o del negozio). La giurisprudenza aveva velocemente piantato paletti, fissando il criterio della “necessità” che adesso Mattarella richiama.

Inoltre il capo dello stato scrive che «è evidente» che il «grave turbamento», d’ora in poi previsto come causa di non punibilità di chi eccede nella reazione, deve essere «effettivamente determinato dalla concreta situazione in cui si manifesta». Non può essere dato per scontato, anche se questo vuol dire che dovrà essere provato in giudizio, con tutte le intuibili difficoltà trattandosi di uno stato d’animo passeggero.

IN CODA ALLA SUA LETTERA, il capo dello stato evidenzia due casi in cui la nuova legge tratta in maniera diversa situazioni simili; nel linguaggio giuridico sono manifestazioni di «irragionevolezza» della norma e possono portare alla declaratoria di incostituzionalità. Con l’obiettivo di sbarrare le porte del carcere, la nuova legge – evidenzia Mattarella – subordina la sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno, solo per gli autori del furto. Si dimentica cioè di prevedere la stessa condizione per chi commette una rapina, un reato persino più grave.

E poi il presidente sottolinea come sia stata prevista la gratuità delle spese processuali, ma solo per chi si veda riconosciuta la legittima difesa nel domicilio e non, come sarebbe a questo punto logico, in qualsiasi un altro luogo. Si potrebbe aggiungere che è altrettanto illogico che il criterio del «grave turbamento» valga solo per l’autodifesa all’interno del domicilio e non, per esempio, per chi si veda aggredito in strada. Ma di tutto questo se ne occuperà evidentemente la Corte costituzionale, e i giudici che le rimetteranno la questione potranno richiamare anche le osservazioni sollevate dal capo dello stato.

«ADESSO È LEGGE dello stato, lo avevamo promesso e questo è l’importante», dichiara a tutta prima Salvini, mostrando indifferenza ai rilievi del presidente della Repubblica. Poi assicura di ascoltare «con interesse estremo» le perplessità di Mattarella, ma non cambia nulla perché «a me interessa che i rapinatori abbiano paura quando fanno il loro mestiere». Parole di chiara impronta propagandistica che vanno in aperto contrasto con quanto richiamato ancora dal presidente della Repubblica nel secondo paragrafo della sua lettera: «La nuova normativa non indebolisce né attenua la primaria ad esclusiva responsabilità dello stato nella tutela della incolumità e della sicurezza dei cittadini». Responsabilità, in teoria, proprio del ministro dell’interno. Mentre i 5 stelle, adesso, sposano i dubbi del Colle, i leghisti li ignorano e per tutta la giornata si diffondono in dichiarazioni di giubilo: importa la sostanza, il volantino elettorale è legge e oggi sarà sulla Gazzetta ufficiale. L’avvocata ministra Bongiorno addirittura sostiene che l’interpretazione di Mattarella è «in linea con quello che abbiamo sempre sostenuto».

GLI AVVOCATI PENALISTI dell’Unione camere penali, al contrario, ritengono che l’interpretazione di Mattarella «vanifica l’intero impianto normativo e ne dimostra la vuota natura propagandistica». Mentre l’Associazione magistrati vede nella lettera del Quirinale «un ottimo richiamo all’esigenza di tassatività della formulazione delle norme giuridiche». Perché il «grave turbamento» è «uno dei punti dolenti della norma, non è un concetto giuridico ma fattuale e andrà verificato caso per caso». Da domani la parola sulla legittima difesa passa proprio ai giudici e alla loro libera interpretazione.