Nel profluvio di saggi dati alle stampe di recente su Covid-19 e dintorni se ne possono selezionare tre, che si discostano dagli altri per una riflessione particolare e originale. Si tratta di Un virus classista pandemia, diseguaglianze e istituzioni di Benedetto Saraceno (Edizioni Alpha Beta Verlag, pp. 112, euro 12.00), La società chiusa in casa. La libertà dei moderni dopo la pandemia di Gilberto Corbellini e Alberto Mingardi (Marsilio, pp. 336, euro 15.00), e La salute del mondo. Ambiente, società, pandemie di Paolo Vineis e Luca Savarino (Feltrinelli, pp. 224, euro 16.00).

Saraceno nel suo saggio pone l’accento su come la crisi scatenata dal Covid abbia evidenziato la drammatica insufficienza di sanità e welfare territoriali e più in generale il grave deficit di democrazia nella gestione della sanità pubblica. I morti nelle Rsa generalmente non erano anziani benestanti e i più poveri, i più socialmente vulnerabili, hanno sofferto in misura maggiore e pagato i prezzi più alti.

Appare evidente come la vulnerabilità non dipende soltanto da condizioni biologiche (obesità, diabete, cardiopatie), ma anche sociali. I più poveri e vulnerabili arrivano alla attenzione dei servizi sanitari in stadi più avanzati della malattia, quando gli esiti dell’infezione si rivelano più pesanti se non letali. Va tenuto in conto come le diseguaglianze non esistono solo fra Paesi poverissimi, poveri, medi o ricchi, ma anche all’interno degli stessi Paesi, a seconda che si parli della salute dei ricchi o di quella dei poveri, come è accaduto e continua ad accadere anche in Italia, dove una fascia sempre più alta della popolazione non è più in grado di accedere ai servizi sanitari essenziali.

SU QUESTA LINEA si inscrive anche l’analisi di Corbellini e Mingardi, che ha il merito di svolgere una indagine storica retrospettiva molto accurata e articolata. Nel passato non si conoscevano le cause delle pandemie: ad esempio, quale fosse stata la causa della spagnola lo si capì solo negli anni Trenta del Novecento. I due autori ritengono che nel caso della pandemia da Covid-19, la causa è stata identificata ancora prima che mettesse in crisi i sistemi sanitari a livello planetario. Se da una parte la possibilità di scambiare informazioni in tempo reale è stata un vantaggio per la comunità scientifica, dall’altra ha finito per generare una ansia e un disorientamento collettivi, che hanno finito per influenzare enormemente le politiche pubbliche.

DIVERSA È STATA la modalità di affrontare la pandemia se mettiamo a confronto le scienze medico-sperimentali e quelle medico-sanitarie, che hanno avuto una interazione che non sempre è stata concretamente costruttiva. I modelli matematici e predittivi non hanno sempre trovato riscontro nella realtà quotidiana delle manifestazioni cliniche della malattia, il cui trattamento spesso si è avvalso di approcci empirici, che sono stati sconfessati dal riscontro al letto degli ammalati. In realtà, l’unica innovazione scientifico-tecnologica che abbia dato dei risultati inequivocabili è stato il vaccino e incontrovertibile è stato il merito di coloro che lo hanno messo a punto in tempi così brevi.

IL CERCHIO SI CHIUDE con il saggio di Vineis e Savarino, che pongono l’accento su come la pandemia abbia significato anche una diversa narrazione della malattia che non può più essere considerata come accadeva nel passato come un evento incentrato sul paziente, sui suoi sintomi, e su una rete di cause prossimali di breve-medio periodo.

Oggi, invece, la malattia deve essere messa in relazione, come mai era accaduto prima, come il frutto di un flusso continuo di interazioni bidirezionali tra l’individuo e l’ambiente che lo circonda. Si parla correntemente di «olobionti», ovvero di colonie costituite da cellule umane e da cellule batteriche che colonizzano il nostro organismo. La dicotomia «self-non self», che ha costituito una dei capisaldi della riflessione immunologica nel Novecento, è stata oggi in parte superata. Il numero totale di cellule microbiche (microbiota) presenti sulla cute e in altre zone anatomiche è ≈ 10 volte più alto del numero totale delle cellule che compongono il nostro corpo. L’intestino umano è l’habitat naturale per una popolosa comunità di batteri, che ha caratteristiche dinamiche, perché i suoi membri possono variare nel tempo, per vie naturali, legate a diversi fattori come dieta, igiene, antibiotici. Le ricerche sul microbioma stanno a rimarcare una continuità sostanziale tra l’interno e l’esterno dell’individuo.

PERCIÒ È RACCOMANDABILE la lettura di questi tre libri, che si discostano dal pensiero agiografico ricorrente e che ha anche contribuito a disorientare il nostro pensiero nel corso di questi due ultimi anni in ogni caso così difficili.