La risposta di Ricky Levi, Presidente dell’Aie (Associazione Italiana Editori), agli editori Giuseppe e Alessandro Laterza su La Repubblica di domenica 9 febbraio è tanto garbata quanto mistificatoria. Ricky Levi è un uomo politico e le sue parole possono indurre in errore chi le legga anche solo con una piuma di pregiudizio o delusione. La questione riguarda la nuova legge sull’editoria e la riduzione al 5% degli sconti sui libri. Questa è una legge per e contro la quale ci si batte da anni. O meglio per la quale da anni si battono soprattutto gli editori e i librai indipendenti. Nel 2008, Levi aveva presentato e firmato una legge (entrata in vigore nel 2011) che «limitava» gli sconti al 15%, salvo le promozioni editoriali che potevano salire fino al 25% e le Fiere al 20%. Un gruppo di editori indipendenti, che si chiamavano Mulini a Vento, si riunì proprio per ridurre gli sconti librari al 5%, come avviene nella maggior parte d’Europa con eccellenti risultati. Contro di noi c’erano i grandi gruppi editoriali e l’Aie.

LA RAGIONE che innervosiva di più i gruppi editoriali (come Mondadori e Gems) era l’avanzata di Amazon nel mercato dei libri italiani. Amazon offriva infatti sui libri sconti esorbitanti, che nemmeno i grandi gruppi si possono permettere. E questo per un motivo molto semplice: per Amazon i libri sono merce spicciola e irrilevante che serve a «comprarsi» i clienti, a cui venderà poi merci di maggior prezzo; per di più, con questa politica, sbaragliava la concorrenza.

Il fatto è che, mantenendo sconti così alti, i gruppi si comportavano nei confronti degli editori e dei librai indipendenti come Amazon con loro. Per gl’indipendenti, infatti, cioè per editori che lavorano senza l’ausilio di proprie catene di librerie o di una propria rete di distribuzione e promozione, non è possibile fare sconti così ingenti (se il 15% vi pare poco, provate a chiedere a qualsiasi altra industria di applicarlo per tutto l’anno su tutta la loro merce nuova e nuovissima). Ma nemmeno le librerie possono vivere riducendo i prezzi del 15 o del 25% (la richiesta della legge Levi era del 30% per le promozioni, e quel piccolo passo dal 30 al 25% fu la furbizia per metterci a tacere). Se la cavano meglio le catene e le grandi librerie, sebbene ultimamente diverse grandi librerie Feltrinelli abbiano chiuso, come avrete tristemente osservato.

Dunque, il titolo di Repubblica «Cari editori Laterza senza sconti sui libri posti lavoro a rischio» è una vera e propria mistificazione. È vero semmai il contrario. Gli sconti permettono di sopravvivere solo ai grandi gruppi e riducono all’osso il guadagno delle librerie, fino a farle chiudere una dopo l’altra. E qui sì, davvero, si perdono posti di lavoro. Non è dunque un caso se l’editoria italiana si era divisa in due; e ben presto anche l’Associazione italiana editori si scisse e nacque l’Adei, Associazione degli Editori Indipendenti.

MA NON ERA e non è solo una questione economica.

È anche, e soprattutto, una diversa visione del libro e della cultura. Il lavoro dell’editore indipendente – e del libraio indipendente – è quello di cercare, scoprire, promuovere la letteratura più nuova, più coraggiosa, più interessante, tenendo conto della sua vendibilità, ma senza farsene interamente condizionare: un lavoro di ricerca ad alto rischio. I margini di guadagno per questi libri sono bassi. Molto spesso sono i libri che, una volta portati alla luce e accettati dal pubblico, verranno «scippati» dai grossi editori, che potranno dare ai loro autori anticipi più alti e una maggiore diffusione (ma non sempre altrettanta cura e attenzione). Lo stesso vale per le librerie che non limitano la scelta alle pile di libri scontati.

Giustamente oggi su Repubblica, due editori indipendenti ricordano che gli sconti librari minacciano la libera concorrenza e il pluralismo librario. E questo significa, semplicemente, che minacciano la cultura, già in caduta libera negli ultimi 30 anni, invece di proteggerla, preservarla, rinnovarla.

Insomma, si tratta del valore che si vuole dare al libro. Il libro non è una merce «d’occasione» che si acquista perché ce la offrono «scontata»: è un oggetto che si sceglie per l’interesse che riveste per noi. Offrirla subito scontata è un inganno al lettore: vuol dire che quel 15% in più sul prezzo non era necessario, anzi non è mai esistito. Se i grossi editori hanno a cuore le tasche dei lettori, com’è giusto, niente gli impedisce di ridurre il prezzo di copertina dei loro libri direttamente, senza la finzione degli sconti.

E SE HANNO A CUORE la lettura, possono impegnarsi a renderla più agevole, curando (e pagando meglio) le traduzioni per esempio (in Inghilterra, dove il prezzo del libro non è fisso, si fanno pochissime traduzioni; e poesia e racconti sono quasi scomparsi dalle librerie); migliorando la carta, la correzione delle bozze, allargando i margini della pagina… Il pubblico sa che un prodotto migliore ha generalmente un prezzo maggiore. Perché il lettore, cioè il consumatore più colto e avveduto, dovrebbe escludere il libro da questa regola? E certamente sa anche che il «bestseller», che tiene in piedi l’editoria più commerciale, non è necessariamente il libro migliore, proprio perché è spesso il più facile e il più ovvio.

Quindi, per favore, smettete di piangere sul prezzo fisso del libro accampando pretesti che neanche l’ultimo dei tre porcellini prenderebbe sul serio. Dite la verità: volete sgominare la concorrenza senza fare meglio di lei, e pazienza se la cultura perde il suo valore e diventa una merce d’occasione.