Quando in Cina si vuole comunicare con un amico c’è WeChat, social network utilizzato anche per pubblicare foto o prenotare un ristorante. Quando gli utenti di Hong Kong vogliano aprire la finestra che dà sul mondo, possono invece usare i social network occidentali. Ma potrebbe essere così ancora per poco.

Google, Facebook e Twitter minacciano di lasciare la città. Un avvertimento che, se si traducesse in azione, potrebbe cambiare lo spazio entro cui si anima il dibattito civile, lasciando margine di ingresso ai social media cinesi. I big del web sono infatti preoccupati dalle sanzioni previste dagli emendamenti alla legge sulla privacy, che dovrebbero essere approvati dal governo di Hong Kong.

Il monito è arrivato con una lettera inviata il 25 giugno dall’Asia Internet Coalition, organizzazione di cui i tre big tech fanno parte, al Commissario per la privacy di Hong Kong, Ada Chung Lai-ling.
I loro timori nascono dalla vaga formulazione del testo di legge volta a contrastare il «doxing», pratica che prevede la divulgazione di dati sensibili di una persona sul web e usata spesso con intenti malevoli.

L’Ufficio per gli Affari costituzionali e continentali di Hong Kong a maggio infatti ha proposto gli emendamenti alla legge, secondo cui sono previste sanzioni fino a 128mila dollari e una pena detentiva fino a cinque anni. Ma la nota inviata al governo non lascia spazio a interpretazioni.

I big tech ritengono che l’introduzione delle sanzioni non siano in linea con le «norme e le tendenze globali», spingendo così le società tech ad astenersi dall’offrire i servizi alla città e creando al contempo nuove barriere al commercio. Immediata la rassicurazione della governatrice Carrie Lam che ha respinto le preoccupazioni dei colossi del web, invitandoli a riflettere sulla necessità di legiferare il doxing.

Gli sforzi del governo sono però rivolti alla lotta contro episodi di violenza. Ieri la polizia di sicurezza nazionale, corpo nato con la promulgazione dell’omonima legge, ha arrestato nove persone, di età compresa tra 15 e 39 anni, accusati di coinvolgimento in attività terroristiche.

Per le autorità i fermati, che fanno parte del gruppo indipendentista Returning Valiant, lavoravano da qualche mese a un piano per attaccare diverse strutture pubbliche della città, con ordigni auto fabbricati da piazzare anche nei cassonetti della spazzatura per massimizzare i danni. L’episodio ora alimenta la volontà di Pechino di estendere la legge sulla sicurezza nazionale a più aree, come la «politica, società, economia, cultura, tecnologia, web e finanza».

Proposta sostenuta dalla governatrice Lam durante un forum organizzato in occasione del primo anniversario della norma. La legge ha infatti permesso di falcidiare l’opposizione, consentendo la candidatura solo ai «veri patrioti», previamente valutati dal governo.

Il comitato incaricato di esaminare i candidati per le prossime elezioni è ora guidato dalla seconda carica del governo, il neo eletto Chief Secretary John Lee, e da altre figure vicine a Pechino e alle forze di polizia.