Ieri pomeriggio la commissione affari costituzionali della camera ha adottato il disegno di legge Brescia (5 Stelle, presidente della commissione) come testo base per la riforma della legge elettorale. La proposta è quella ormai nota di un sistema proporzionale con soglia di sbarramento nazionale al 5% e diritto di tribuna per le liste più piccole – a condizione che riescano a conquistare almeno tre collegi in due regioni alla camera e un collegio al senato. Il passaggio di ieri, l’adozione del testo base, è un semplice atto formale che apre il lavoro referente: con gli emendamenti e con i primi voti si capirà quanta e quale strada la riforma elettorale potrà fare.

Ma il referendum sul taglio dei parlamentari è alle porte, e sono evidenti le difficoltà del Pd nell’abbracciare le ragioni del Sì. Ecco perché questo passaggio formale, in genere privo di interesse, è stato caricato di grande valore politico. Tanto che il centrodestra ha fatto ostruzionismo in commissione, riuscendo a far slittare i lavori di un paio di giorni e qualche ora, abbandonando poi l’aula. E tanto che due partiti di maggioranza – Italia viva e Leu – non hanno seguito Pd e 5 Stelle, rimasti alla fine da soli a votare il testo base. Che è nato, in conclusione, come un testo di minoranza: alla conta 21 voti su 48 della commissione. Ma tutto questo è secondario per Zingaretti, al quale interessa che «in un mese si è passati dal nulla all’adozione del testo base, il che dimostra che il Pd ha ragione». Nel senso, sostiene il capogruppo del Pd alla camera Delrio, che «il cantiere delle riforme è ripartito».

Per la verità un mese fa sul tavolo c’era esattamente questo testo di legge, e c’era Zingaretti che spiegava come fosse indispensabile approvarlo almeno in un ramo del parlamento entro la data del referendum, secondo la ben nota teoria del «riequilibrio». L’approvazione evidentemente non ci sarà, ed è anche difficile immaginare quando potrà esserci. Certamente è impossibile che il lavoro referente possa concludersi entro il 28 settembre, data fissata dalla maggioranza per l’approdo in aula anche in questo caso a puro scopo dimostrativo. E non tanto per colpa del più che strumentale ostruzionismo delle opposizione. Il problema sono i nodi politici all’interno della maggioranza. Leu si è astenuta perché giudica troppo alta la soglia di sbarramento del 5% – sulla base dei voti validi del 2018 servirebbero oltre 1.700mila voti per entrare alla camera. Italia viva per accettare l’impianto del testo Brescia chiede di riformare l’intero sistema parlamentare e di governo, passando al bicameralismo differenziato e alla sfiducia costruttiva. Renzi ha brutalmente confermato ieri sera a Porta a Porta che quello di ieri è stato un saltello sul posto, non un passo in avanti: «Non condividiamo l’idea del proporzionale, ma Zingaretti mi ha chiesto di dargli un aiuto non partecipando al voto e io ho dato una mano». Un aiuto, quindi, che si esaurisce con la concessione al Pd di questo passaggio formale entro il fatidico 20 settembre.

Referendum e regionali porteranno a zero la discussione: sarà già tanto se entro la fine del mese si depositeranno in commissione gli emendamenti al testo Brescia, altro che voto in aula. Uno dei nodi da sciogliere è il livello della soglia di sbarramento, perché Leu non è sola nel chiedere di abbassare quel 5%. Una soglia più contenuta conviene all’attuale maggioranza (in chiave coalizione) e interessa certamente anche Iv. Ma può farsi spazio a destra anche oltre Forza Italia: ieri il capogruppo della Lega, durante l’ostruzionismo, ha detto di ritenere preferibile la soglia prevista per le europee (4%). L’altro terreno di battaglia sarà quello delle preferenze, che i 5 Stelle dicono di voler introdurre (loro che hanno sempre avuto da guadagnare dalle liste bloccate) senza trovare però il consenso del Pd. Possibili diverse soluzioni intermedie, come i collegi uninominali proporzionali o le liste flessibili. Il cammino è evidentemente ancora lungo. Intanto, come effetto collaterale dell’ostruzionismo sulla legge elettorale, anche la riforma costituzionale Fornaro che abolisce la base regionale per l’elezione del senato – altro «riequilibrio» che avrebbe dovuto essere «contestuale» al taglio dei parlamentari – scivolerà fuori dal calendario di settembre.