Il primo tempo lunedì, quando è crollato il tavolo delle riforme e la maggioranza ha preso atto di non avere alcun accordo sulle modifiche costituzionali, nemmeno quelle urgenti che erano state già annunciate per «riequilibrare» il taglio dei parlamentari. E che non si vedono spiragli per la legge elettorale oltre al testo agli atti della commissione affari costituzionali della camera che corrisponde alle vecchie intese tra i giallorossi. Ma quel sistema proporzionale con soglia di sbarramento nazionale al 5% e liste bloccate non piace più a Iv e sulle modifiche non c’è accordo tra gli altri partiti. Martedì sera il secondo tempo: il Consiglio dei ministri ha approvato, come previsto, lo schema di decreto che ridisegna i collegi elettorali. Adattando la legge in vigore, il Rosatellum, alla nuova realtà di un parlamento con 230 deputati e 115 senatori in meno. Una volta terminato il rapido iter di perfezionamento del decreto, il paese che si sarebbe dovuto dotare di un sistema proporzionale per attenuare gli effetti negativi sulla rappresentanza del taglio dei parlamentari, riavrà il vecchio sistema maggioritario con una quota di tre ottavi (147) di seggi uninominali.

Un sistema che è il contrario di quello annunciato dalla maggioranza e previsto dall’accordo con il quale Pd, Leu e Iv accettarono di approvare la riforma costituzionale bandiera dei 5 Stelle per il taglio delle «poltrone». Con questo Rosatellum «bonsai» si esaspera il sacrificio della rappresentanza, i partiti più piccoli perdono anche un diritto di tribuna e in definitiva si esalta la torsione maggioritaria. Con il meccanismo dei collegi e soprattutto del voto unico – che trasferisce il consenso espresso nell’uninominale anche sulle liste che concorrono per i seggi proporzionali – una coalizione anche a due (in ipotesi Salvini-Meloni) può raggiungere la maggioranza anche con una percentuale nazionale inferiore al 40%.

È stata una legge approvata a maggio dello scorso anno, per iniziativa del leghista Calderoli, a introdurre l’obbligo per il governo di procedere alla ridefinizione dei collegi una volta entrata in vigore la riforma costituzionale che taglia i parlamentari. Adattando il numero di collegi uninominali e plurinominali. La legge costituzionale, confermata dal referendum il 20 e 21 settembre, è rimasta ferma al Quirinale fino al 19 ottobre, quando il presidente Mattarella l’ha firmata e promulgata. Pubblicata successivamente in Gazzetta ufficiale, la riforma è entrata in vigore il 5 novembre. L’iter per la ridefinizione dei collegi, previsto per legge in 60 giorni (ma il termine non è perentorio), deve concludersi entro il 4 gennaio. Per quella data il testo del decreto deve acquisire il parere delle commissioni parlamentari e poi tornare a palazzo Chigi. In attesa di poter leggere il testo, ieri introvabile, il governo ha confermato, e non sarebbe stato possibile altrimenti, che «la definizione dei collegi è stata effettuata sulla base della proposta della commissione tecnica, composta da dieci esperti in materia e presieduta dal presidente dell’Istat».