È alle viste un altro rinvio per la legge elettorale. Ieri sera la presidente della camera Boldrini ha spiegato in tv che le forze politiche «continuano a chiedermi rinvii per la discussione in aula perché ancora non è matura la formula che accontenti la maggioranza dei partiti». Ha così anticipato la decisione che dovrà prendere oggi la conferenza dei capigruppo sul calendario di aprile. La legge elettorale non ci sarà, per il semplice fatto che la commissione non ha fatto alcun passo in avanti.

Ieri Mdp, il partito costituito dagli ex di Pd e Sel, ha fatto sapere che non sosterrà il ritorno al Mattarellum, malgrado molti dei suoi rappresentanti siano tra i principali estimatori del sistema elettorale in vigore negli anni Novanta – al punto che il candidato segretario Speranza ha presentato un progetto di legge per recuperarlo (con modifiche). La novità è che i demo-progressisti si sono decisi a denunciare il gioco di Matteo Renzi, che tenendo ferma la proposta del Mattarellum – malgrado sia gli alleati centristi di Alfano che Forza Italia non ne vogliano sentir parlare – sta paralizzando i lavori parlamentari. Per poi accusare i suoi avversari o i suoi sfidanti interni (Orlando). «Far passare il Mattarellum alla camera con un voto a stretta maggioranza, sapendo che poi affonderà al senato,- ha spiegato ieri Alfredo D’Attorre di Mdp – significherebbe mettere la legge elettorale su un binario morto. Sarebbe più onesto dire “non vogliamo fare la legge”». In effetti il Pd alla camera non avrebbe problemi a imporre il suo modello, tantomeno in commissione dove il partito fa maggioranza quasi da solo. Eppure nulla si muoverà prima della fine del congresso.

L’uscita di D’Attorre, però, fornisce ai renziani l’occasione per attribuire agli avversari la responsabilità dello stallo. «Siamo sicuri che Bersani è d’accordo?» chiede il capogruppo Pd Rosato, che poi incolpa Mdp di aver cambiato posizione sul Mattarellum nella speranza di un più comodo proporzionale con premio di coalizione. E Bersani sicuramente non è d’accordo sul piano tattico: non si può regalare il Mattarellum al Pd, soprattutto non dovrebbe farlo una formazione come Mdp, nostalgica dell’Ulivo. Però è chiaro che – strategia di comunicazione a parte – nelle condizioni date è realistico puntare a un’armonizzazione tra di due sistemi di camera e senato: per D’Attorre dovrebbe passare dall’estensione delle preferenze di genere al senato e dall’armonizzazione delle soglie – quella del senato (8%) verso quella della camera (3%).
Resterebbe il problema dei capilista bloccati, ma è proprio l’eredità dell’Italicum che Renzi più intende difendere con la sua inazione. Salvo scaricare sugli altri la responsabilità dell’impasse. Come ha fatto, sempre in tema riforme, a proposito della mancata scelta del nuovo presidente della commissione affari costituzionali al senato. Dopo quattro mesi doveva essere oggi il giorno giusto per scegliere finalmente il sostituto di Finocchiaro. Ma i renziani, temendo agguati nel voto segreto al loro candidato Cocianchic, hanno ottenuto un altro rinvio.