«In una forma di governo parlamentare, ogni sistema elettorale, se pure deve favorire la formazione di un governo stabile, non può che esser primariamente destinato ad assicurare il valore costituzionale della rappresentatività».

È il passaggio decisivo delle motivazioni della sentenza della Corte costituzionale depositata ieri sera che ha amputato l’Italicum del ballottaggio. Una sentenza che però le motivazioni circoscrivono assai.
La bocciatura del ballottaggio, infatti, è stata decisa esclusivamente in relazione alla modalità prevista nell’Italicum. «Non è il ballottaggio in sé a risultare costituzionalmente illegittimo – scrive infatti il relatore della sentenza Nicolò Zanon – ma il ballottaggio con collegio unico nazionale e voto di lista». Il che significa che un altro tipo di ballottaggio, ad esempio quello nei collegi uninominali, sarebbe legittimo. E la Consulta che, ricorda, «non può sostituirsi al legislatore», lascia ampio margine al parlamento per intervenire.

Anzi, la Corte raccomanda un intervento nell’ultimo paragrafo affinato in lunghe discussioni del collegio giudicante: «La Costituzione, se non impone al legislatore di introdurre, per i due rami del Parlamento, sistemi elettorali identici, tuttavia esige che, al fine di non compromettere il corretto funzionamento della forma di governo parlamentare, i sistemi adottati, pur se differenti, non devono ostacolare, all’esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee». Cosa che evidentemente accadrebbe con i due sistemi in vigore adesso.

Perché, fondamentalmente, «l’esito del referendum del 4 dicembre 2016 ha confermato un assetto costituzionale basato sulla parità di posizione e funzioni delle due Camere elettive».
L’Italicum, premessa e completamento del disegno riformatore di Matteo Renzi, deve cadere al crollo della riforma costituzionale, almeno nella sua parte più caratteristica, quel tipo di ballottaggio. Quanto alle pluri candidature bloccate, anche qui la censura della corte non travolge tutto lo strumento ma solo il meccanismo delle opzioni. E affida al legislatore la possibilità di salvarlo con «regole più adeguate alla volontà degli elettori» (indica anche un paio di soluzioni tecniche).

Ma prima di tutto la sentenza depositata ieri conferma «l’ampia discrezionalità» del legislatore in materia elettorale e la legittimità dei premi di maggioranza, purché legati a una soglia – e il 40 per cento va bene (altrimenti dice la corte dovrebbe parlarsi di premio di governabilità per chi raggiunge il 50 per cento).

Perché quanto scritto all’inizio sul ruolo del parlamento è vero. Ma «stabilità di governo e rapidità nel processo decisionale sono obiettivi di rilievo costituzionale».