Anche Walter Veltroni ha paventato il rischio che l’Italia possa trovarsi senza nessun governo possibile. Ciò deriverebbe da un sistema elettorale che sarebbe diventato «proporzionale puro», che non ha funzionato in passato dando vita a più di un governo all’anno quando c’erano partiti forti. Tanto meno funzionerebbe con partiti diventati una «galassia di marmellata». Inoltre il tripolarismo politico affermatosi nel 2013 renderebbe impossibile la formazione di coalizioni, determinando una «crisi drammatica» della democrazia. Per evitare questo esito occorrerebbe un sistema elettorale, come il maggioritario con il doppio turno o il Mattarellum, che facciano sapere «il giorno delle elezioni» chi governa, il quale «deve essere stato scelto dai cittadini».

Ora, lo scenario apocalittico immaginato si basa su presupposti infondati. Innanzitutto come si fa a considerare proporzionali puri il sistema elettorale della camera che attribuisce il 54% dei seggi alla lista che superi il 40% dei voti e impone capilista bloccati in collegi di ridotte dimensioni e quello del senato che prevede in ogni regione una soglia di accesso dell’8% per le liste non coalizzate? Quanto ai partiti di marmellata, la loro degenerazione non ha a che vedere anche con sistemi elettorali prevalentemente maggioritari o con correttivi ipermaggioritari, come quelli varati negli ultimi 23 anni? Quei sistemi hanno contribuito a ridurre i partiti a comitati elettorali di leader da sottoporre al plebiscito popolare, finendo per trasformare anche il Pd in PdR (Partito di Renzi, come da tempo sottolinea Diamanti). E a favorire il tanto deprecato (anche da Veltroni) trasformismo dei parlamentari, non più legati ad appartenenze politiche forti. È vero che fino al 1993 i sistemi fortemente proporzionali (senza alcun premio e con soglia di accesso esigua) hanno contribuito a dare vita a molti governi, ma al contempo quei sistemi hanno garantito il radicamento della democrazia e una elevata partecipazione popolare. Ed è difficile negare che il paese sia stato governato per 45 anni, meglio di quanto è avvenuto negli ultimi 23. Ma il più grave difetto della tesi veltroniana è la visione statica della realtà: sia del sistema politico che è in movimento e potrebbe evolvere verso il quadripolarismo (con un autentico polo di sinistra) o verso il pentapolarismo (con l’auspicabile creazione di un partito di centro-destra di tipo europeo distinto dall’estrema destra xenofoba); sia del comportamento degli elettori che è destinato a cambiare in presenza di un nuovo sistema elettorale e di una diversa offerta politica. Infine, l’idea del governo il giorno del voto, così come la sua derivazione dal corpo elettorale, non solo è estranea alla forma di governo prevista dalla Costituzione, ma non è garantita in nessun altro paese democratico a forma di governo parlamentare, neppure in quelli, come il Regno Unito, che utilizzano una formula elettorale rigidamente maggioritaria. Qui sta la contraddizione più vistosa dei maggioritaristi italici: auspicano un esito nettamente maggioritario a favore di una lista o di una coalizione prelettorale, ma non sono in grado di proporre un sistema elettorale in grado di garantirlo senza ricadere nella incostituzionalità. E poi evitano di fare un bilancio dei sistemi elettorali utilizzati dal 1993 in poi, che non hanno garantito né la stabilità di governo (con 14 governi in 23 anni), né la riduzione della frammentazione politica (come attestano i 23 gruppi e sottogruppi parlamentari consultati da Mattarella per la formazione del governo Gentiloni).

In definitiva quel che occorre non sono gli ibridi pasticciati vigenti per camera e senato, ma sistemi proporzionali senza premio di maggioranza (che sarebbe o irraggiungibile o incostituzionale), con il correttivo di una soglia di sbarramento non esigua ma neanche troppo alta (si può tenere fuori dal parlamento una lista che ottenga più di un milione di voti?), e con eliminazione (alla camera) dei capilista bloccati, facendo ricorso, anziché al voto di preferenza, a un buon numero di collegi uninominali, il che è compatibile con una ripartizione sostanzialmente proporzionale dei seggi, come dimostra il sistema per l’elezione del Bundestag vigente in Germania. Sistemi di questo tipo sarebbero sicuramente conformi ai principi costituzionali, ma anche più adeguati ad una situazione politica in evoluzione. Ciò comporterebbe la costituzione di governi fondati su coalizioni dopo il voto (non prima e quindi utili a vincere sul «nemico» ma incapaci di governare), sulla base dei rapporti di forza reali e di programmi concordati e ben definiti.