Non c’è nessun accordo, non c’è nemmeno un orientamento netto per un sistema (proporzionale) piuttosto che un altro (maggioritario), la legge elettorale è ferma in alto mare. Il sistema tedesco, lanciato dall’entourage renziano la settima scorsa per testare le reazioni, a ben vedere tiene insieme l’uninominale di collegio e il proporzionale (e le liste bloccate) e potrebbe raccogliere il minor numero di dissensi. Malgrado ciò, il relatore – il deputato del gruppo Civici e innovatori (ex Scelta civica) Mazziotti – conferma che domani presenterà in commissione un testo base. Lo farà dopo aver completato, oggi pomeriggio, un giro di incontri con i partiti, ultimo sarà il Pd. A meno di non impossibili rinvii, dovrà quindi essere un testo camaleontico, capace di piegare grazie agli emendamenti nel senso di un’accordo tra Pd e Forza Italia o tra Pd e Cinque stelle (improbabile perché non avrebbe i voti al senato). L’esito più prevedibile resta quello di uno stallo prolungato. Da superare solo a ridosso dello scioglimento delle camere con qualche minimo ritocco alle due leggi oggi in vigore per camera e senato, nel tentativo di armonizzarle. E allora anche l’insistenza del Pd di avere domani un testo base, in assenza di un accordo politico, non fa che complicare la ricerca dell’intesa. Ma una ragione dal punto di vista della tattica renziane c’è.

Al segretario Pd infatti conviene andare al voto con quel che c’è oggi – l’Italicum senza ballottaggio e con una soglia per il premio irraggiungibile alla camere e il Consultellum con soglia di sbarramento elevata (8%) al senato -, leggi con le quali assai probabilmente non riuscirà ad avere la maggioranza necessaria per tornare al governo. Ma potrebbe vincere (grazie all’appello al voto utile) e resterebbe centrale per il quadro politico e per gli equilibri nel partito (nominando direttamente metà gruppo parlamentare). Però, come leader del primo partito – oltre che, si potrebbe aggiungere, causa del disastro attuale avendo cercato lui la forzatura Italicum-referendum costituzionale – non può stare fermo. E soprattutto non può perché il presidente Mattarella ha raccomandato innanzitutto a lui di favorire l’intesa in parlamento. «Non è responsabilità del Pd», gli ha risposto Renzi, raffreddando ulteriormente il clima tra il Nazareno e il Colle. Per questo anche il rituale omaggio al Quirinale da parte del rieletto segretario Pd, se ci sarà, (il presidente tornerà dall’Argentina solo sabato) sarà un incontro non facile. L’eventuale decreto legge, sul quale Renzi conta in extremis per correggere le più vistose falle dell’attuale sistema elettorale, dovrebbe essere firmato da Mattarella. Ma un decreto elettorale che incide in profondità sul sistema di scelta dei parlamentari sarebbe qualcosa di mai visto, ed è del resto escluso dalla legge sulle funzioni del governo del 1988.

Perché allora l’insistenza sul testo base domani? Per una ragione di calendario. Per approvare l’eventuale nuova legge elettorale alla camera entro il mese di giugno, infatti, è fondamentale che questa venga «incardinata» nell’aula di Montecitorio entro la fine di maggio, in modo da poter contingentare i tempi di discussione. E per rispettare il calendario che prevede come prima seduta alla camera quella del 29 maggio, la commissione dovrebbe esaurire i suoi lavori in due settimane, la prossima e quella successiva. Un tempo assai scarso visto che il grosso del lavoro lo si farà con gli emendamenti.
Se non andrà così, com’è probabile, alla camera servirà tutto il tempo che manca alla pausa estiva – lo annuncia già Brunetta di Forza Italia – per approvare un testo. Sempre che un testo si trovi. a. fab.