La corsa per la nuova legge elettorale, cominciata mercoledì con la presentazione di una nuova proposta del Pd, subisce una prima frenata. Il testo potrà essere discusso in commissione nelle prossime due settimane, quindi non arriverà in aula alla camera entro fine maggio. Ma solo nel mese di giugno, il 5, e allora i tempi (da regolamento) non si potranno contingentare, anche se la conferenza dei capigruppo ieri si è conclusa con un impegno a votare la legge entro giugno. Così che al Pd resta una speranza di approvarla definitivamente in senato entro l’estate. Speranza vaga, perché le opposizioni in cambio della rinuncia all’ostruzionismo chiedono la disponibilità del Pd a condividere il testo (difficile) e perché non è detto che il senato accetterà senza modifiche il lavoro della camera.

SPALLEGGIATO solo dalla Lega, il Pd ieri non aveva i numeri per imporre il testo Fiano come testo base, né ha potuto forzare in capigruppo. Renzi vuole fare presto, per tenere aperta la finestra del voto anticipato, ma la sua fretta rischia di infrangersi contro l’ ostacolo della (ri)definizione dei collegi. Che dovrebbe richiedere più dei 45 giorni concessi dalla delega al governo inserita nell’ultimo articolo della legge. Parlano i precedenti, soprattutto quello del 1993 quando si trattò di disegnare i 475 collegi uninominali del Mattarellum. Ci vollero 4 mesi e 25 giorni dalla pubblicazione della legge in Gazzetta ufficiale. Molto più rapida è stata la recente (ed inutile) operazione fatta sull’Italicum: due mesi. Ma se la riduzione dei collegi plurinominali (dai cento dell’Italicum agli ottanta del testo Fiano) non incontrerà grandi difficoltà, assai più faticoso sarà il lavoro attorno ai vecchi collegi del Mattarellum – disegnati sulla base della popolazione di un quarto di secolo fa – per portarli da 475 a 303. Per essere prudenti, al mese e mezzo (minimo) che deve trascorrere tra lo scioglimento delle camere e le nuove elezioni, bisogna aggiungere quindi almeno tre mesi di lavoro con il parlamento in carica (i collegi li disegna una commissione e li decreta il governo sentite le camere). Il che rende evidente l’impossibilità di immaginare elezioni in autunno con la nuova legge elettorale. Per le elezioni anticipate c’è solo il sistema residuale, e zoppo, che abbiamo oggi, quello delle due leggi diverse per camera e senato.

A BERSANI che ieri ha criticato la proposta del Pd perché non prevede le coalizioni ma «confuse accozzaglie» ha replicato duramente il deputato dem Parrini, autore del nuovo testo: «Bersani va in bestia per l’ok di Prodi e Pisapia. Le coalizioni sono previste, perché più liste possono sostenere uno stesso candidato uninominale». È vero. Più che una previsione della legge, però, è una scappatoia che espone al rischio di molte schede annullate. Spieghiamo.
La filosofia della legge è quella di trasferire il voto dato al candidato che si vuol far vincere nella sfida uninominale sulla lista che lo sostiene. «La lista», scrive chiaramente la legge: per ogni candidato nei 303 collegi c’è una sola lista accanto al suo nome. Tant’è che basta un solo segno sulla scheda, indifferentemente sul nome del candidato nel collegio o sul simbolo della lista che lo sostiene. La regola è questa, la prova sta nell’eccezione che vale solo per la Valle d’Aosta e il Trentino. Lì si parla infatti di più liste a sostegno del medesimo candidato e si esclude la trasferibilità del voto uninominale al proporzionale (non essendo possibile dividere un voto).

LA SOLUZIONE per le coalizione alla quale allude Parrini può essere allora solo quella di scrivere più volte sulla scheda lo stesso nome del candidato nel collegio, e accanto allo stesso nome ogni volta una lista diversa. La confusione può colpire l’elettore, peraltro abituato (dal vecchio Mattarellum due schede, ma anche dalle elezioni dei sindaci e dei presidenti di regione) al voto disgiunto. Se barra il nome del candidato e poi quello di una lista che lo sostiene ma non è perfettamente allineata al nome, il voto si annulla. Facile immaginare le contestazioni.
Tutta questa complicazione serve a condizionare la libertà di voto al proporzionale. Non sarà possibile votare il candidato che si immagina possa avere più chance di vittoria – mettiamo, quello del Pd purché non vincano i candidati di Grillo o di Berlusconi – e però scegliere liberamente nel proporzionale il proprio partito – ad esempio una lista alla sinistra del Pd. E allora, se formalmente la legge riserva il 50% dei seggi alla quota proporzionale, sostanzialmente è costruita in modo da orientare il consenso sulle liste che appoggiano chi ha chance di vittoria nel maggioritario.
Per cui lo sbarramento del 5% che si dovrà superare per entrare con la quota proporzionale, sarà nei fatti più alto. Sarà il 5% tra quelli che avranno resistito al richiamo del voto utile, richiamo che con il Mattarellum, due schede e il voto disgiunto c’era solo nell’uninominale. E alla fine per chi raggiunge quota 5% è previsto poco più che un diritto di tribuna (14 seggi alla camera). La soglia però potrebbe scendere.