Per Renzi era ormai un punto d’onore. La legge elettorale arriverà nell’aula della camera dei deputati tra tre lunedì. Dunque entro il mese, come da pressante richiesta del neo segretario, sostenuta dal gruppo democratico. Per rispettare questa scadenza ci sarà bisogno di uno scatto fin qui mai visto. La prima commissione comincerà infatti ad affrontare le venti proposte appena una settimana prima, il 20 gennaio. I deputati commissari dovrebbero riuscire a fare in una settimana quello che non si è fatto in sette anni. Tirare fuori un testo condiviso di riforma dalle venti proposte formalmente depositate, dalle nuove che ancora si annunciano e dai tre «modelli» proposti da Renzi. Il relatore, che è il presidente berlusconiano della commissione Francesco Paolo Sisto, dovrà fare un capolavoro. Peccato che contemporaneamente il Pd lo stia mettendo in discussione nel ruole. Vorrebbe affiancargli uno dei suoi.

La tappa successiva della corsa sarà approvare la nuova legge nella prima settimana di febbraio. Adesso è lo stesso Alfano, fin qui individuato come il principale frenatore della riforma, che si intesta l’accelerazione. «Vogliamo chiudere in tempi rapidissimi alla camera – dice il leader del Nuovo centrodestra, in risposta ai sospetti dei renziani – è la nostra apertura a Renzi: ci fidiamo e siamo convinti che non userà l’approvazione rapida della legge per tornare al voto». Naturalmente la legge andrà approvata poi anche dal senato. E se alla camera i voti del gruppo di Alfano non sono indispensabili, al senato potrebbero risultare decisivi nel caso in cui il Pd non avesse trovato un’altra intesa con Forza Italia.

Alfano ha giocato così l’ultima sua carta. Se si fosse messo di traverso rispetto alla fretta di Renzi avrebbe offerto l’occasione al sindaco di Firenze per chiudere subito un’intesa con Forza Italia. Nella sfida a colpi di bluff Renzi aveva fatto intravedere la possibilità di un accordo con Berlusconi sul modello spagnolo, il più temuto da Alfano ma anche quello che presenta più ostacoli tecnici per essere condotto in porto. Almeno rispetto a quello che ci si aspetta la Corte Costituzionale scriverà nelle motivazioni la prossima settimana. Per aspettarle i deputati si concederanno un giro di dotte audizioni, utile soprattutto a prendere tempo. Come sarà scritta la legge lo decideranno infatti i leader di partito, con Letta e fuori dal parlamento.

«Non c’è nulla di male che Renzi veda Berlusconi», ha provato a togliersi dall’angolo Alfano. Aggiungendo di «non temere nessun modello elettorale». Preferisce, è cosa nota, il doppio turno di coalizione che si ispira alla legge per l’elezione dei sindaci nelle grandi città. Mancando però di un particolare indispensabile: l’elezione diretta del capo coalizione, in questo caso del presidente del Consiglio. «Con l’elezione diretta funzionerebbe meglio», ammette Alfano. Per concludere però che ci si può accontentare di ratificare la prassi extra costituzionale: «Per la forza della comunicazione politica l’elezione del presidente del Consiglio già c’è».
«Sembrava impossibile, eppur si muove» twitta immediatamente Renzi. E il capogruppo del Pd Speranza festeggia il successo del suo pressing su Laura Boldrini: «Impegno mantenuto». La data feticcio è rispettata, ma la calendarizzazione di un provvedimento non ne garantisce la discussione. E negli ultimi giorni di febbraio l’aula di Montecitorio sarà impegnata nella solita corsa sui decreti in scadenza.

Ma soprattutto, perché la legge faccia effettivamente un passo in avanti, occorre che venga firmata un’intesa in qualche modo accettabile per Alfano – pena la rottura della maggioranza di governo negli stessi giorni impegnata a firmare un «patto» per il 2014. Più probabile che la mediazione si sposti allora sul modello della vecchia legge Mattarella, corretta come vuole Renzi, che il Nuovo centrodestra subirebbe come l’ipotesi «meno peggio» rispetto al sistema spagnolo. Purché non significhi spalancare le porte alle elezioni a maggio.