La tregua sulla legge di bilancio durerà pochi giorni, cercando di tenere bassi i toni per non fare imbizzarrire il drago dello spread che sembra impensierire Di Maio e Salvini. Così ci si prepara alla battaglia di novembre quando è prevista una doppia scadenza: quella del 13 novembre, termine ultimo entro il quale il governo dovrà presentare una nuova bozza di legge di bilancio (che non intende cambiare) e una «relazione» che giustifichi lo scostamento degli obiettivi. C’è poi il giorno del giudizio fissato il 21 novembre, quando la Commissione pubblicherà il parere definitivo. La procedura d’infrazione potrebbe essere avviata già in quel momento. Domani è stato annunciato un vertice per approntare una risposta che il governo intende inviare alla Commissione Ue prima della conferenza sulla Libia del 12 novembre.

IL FILO SOTTILE sul quale si muove la diplomazia del ministro dell’Economia Giovanni Tria si regge su un valzer di decimali. La strategia è ormai nota. Da un lato, il governo ha ammesso, in una lettera alla Commissione Ue, che la deviazione sul deficit (2,4% sul Pil, invece dello 0,8%) esiste; dall’altro lato, non è grave perché i pilastri della manovra come il sussidio di povertà detto impropriamente «reddito di cittadinanza» e le pensioni «quota 100» avranno inizio a 2019 inoltrato e la spesa corrispondente (9 miliardi+6,7) potrebbero «scivolare» con un gioco di prestigio fiscale all’anno prossimo. In questo modo il livello del deficit al 2,4% potrebbe essere più basso e, nella sostanza, essere più accettabile da parte della Commissione Ue. La legge di bilancio prevede inoltre una «clausola salva-deficit» che dovrebbe permettere i fondi risparmiati al di là del somma del «reddito» e «quota 100». Inoltre il governo scommette sugli investimenti, dovrebbero spingere il Pil per uno 0,2% , e sullo sblocco – tutto da dimostrare delle risorse già iscritte nel bilancio.

LA COMMISSIONE UE, e l’Eurogruppo, non credono a questo gioco delle tre carte. Se già oggi il governo sa che il rapporto tra il deficit e il Pil è più basso del 2,4%, non c’è ragione per scriverlo subito. E ridimensionare la manovra, ipotesi respinta dagli italiani. Per la Commissione deve essere assicurato un miglioramento strutturale del deficit pari allo 0,6%, mentre ora c’è un peggioramento dello 0,8% del Pil. In questa complicata partita il governo parla del deficit nominale, mentre per l’Ue conta quello strutturale. La manovra peggiora il deficit strutturale dello 0,9%, fissandolo a -1,7% per il prossimo triennio e rinvia anche il pareggio di bilancio al 2022. Per il 2019 il debito è stimato in calo al 130% nel 2019, al 128,1% nel 2020 e al 126,7% nel 2021.

SENZA CONTARE che nessuno crede alla stima miracolistica sulla crescita all’1,5% del Pil. Le prospettive sono ben più magre al di sotto dell’1%. La combinazione di un deficit molto più alto del 2,4%, e una crescita ben più bassa di quella preventivata, è una prospettiva esclusa dal governo, ma richiamata in continuazione dai suoi giudici. Per il momento questo scontro è stato messo a tacere attraverso un complicato giro logico: la deviazione dei conti pubblici è prevista, ma per Tria non è grave. Secondo la Commissione Europea invece è «senza precedenti» e «seria». L’Eurogruppo ha invitato la Commissione e al governo italiano a trovare un accordo. Difficile, visto che al momento gli azionisti di maggioranza Salvini e Di Maio convergono almeno su un punto: la manovra non si tocca. L’apertura della procedura di infrazione per deficit eccessivo contro l’Italia – prevede il monitoraggio dei conti nazionali da parte dei custodi dell’austerità e multa fino allo 0,2% del Pil in caso di violazione confermata – dovrebbe avvenire in un modo che è stato definito «accettabili» da fonti Ue. La vaghezza dell’aggettivo rispecchia la difficoltà tutta politica che i 18 ministri europei dell’economia hanno saggiato: uno scontro con il governo «populista» non conviene, soprattutto nei mesi pre-elettorali prima di maggio 2019 e in presenza di un calcolo politico sempre più evidente da parte degli italiani. La procedura d’infrazione potrebbe essere usata anch’essa a fini elettorali, dentro lo story-telling rodato in questi mesi.

AL DI LÀ DEI TONI felpati nei quali si è svolto l’Eurogruppo di ieri, va notato che il governo è isolato. Anche gli esecutivi più di destra, come l’Austria, hanno ribadito la linea: costi quel che costi, l’Italia «sovranista» deve rispettare le regole dell’austerità. Contraddizioni in seno al progetto «populista»: «rompere» il fronte europeo a maggio, invocando una discontinuità che potrebbe restare ostaggio di interessi nazionali contrapposti.