Il dado non è stato ancora tratto, ma la Commissione europea ha chiesto maggiori spiegazioni a Varsavia sulla nuova e controversa legge che regolamenta l’informazione in Polonia. In serata la premier polacca Beata Szydlo ha parlato di fronte al Sejm, la camera bassa del parlamento polacco, denunciando il tentativo di diffamare il paese all’estero. E ha respinto così al mittente le accuse dell’Unione Europea. «Un tentativo di esercitare pressione su un parlamento democraticamente eletto», ha detto il ministro della Giustizia polacco Zbigniew Ziobro, che qualche giorno fa invece aveva tacciato Bruxelles di avere un comportamento «nazista» nei confronti della Polonia. Lo stesso concetto tornava sulla copertina del magazine WProst, con i membri della Commissione europea – Angela Merkel in testa – raffigurati in divisa da ufficiali nazisti.

La riforma dei media che mette il sistema dell’informazione sotto il controllo diretto del governo di destra, come la legge che limita i poteri della Corte costituzionale, con conseguente braccio di ferro interno tra i giudici e il partito Giustizia e libertà (PiS) dei fratelli Kaczynski, non sono passate inosservate a Bruxelles. Il primo vicepresidente della Commissione Frans Timmermans ha ottenuto il via libera sull’invio di una lettera al governo polacco per avviare un dialogo costruttivo nel quadro del rispetto dello stato di diritto. È l’avvio formale di una «valutazione preliminare» sulle leggi in questione.

Più duro il commento di presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz che aveva parlato nei giorni scorsi di «putinizzazione della politica europea». Resta comunque una linea morbida, quella scelta dall’Ue, in linea con l’approccio soft seguito nei confronti di Budapest. A dicembre scorso il parlamento di Strasburgo aveva infatti bocciato l’applicazione dell’articolo 7 del Trattato di Lisbona contro Viktor Orbán. L’accusa mossa al premier ungherese era legata alla violazione del divieto di respingimento dei rifugiati sancito dalla Convenzione di Ginevra.
Chiamato in gergo dai burocrati dell’Ue «opzione nucleare», l’articolo 7 del trattato chiama in causa la possibilità di sospendere ad un paese membro i diritti di adesione all’Unione europea e di quello di voto in caso di violazione parte di alcuni principi (libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo, delle libertà fondamentali e dello Stato di diritto). L’esempio di Orbán, capace a più riprese di sopravvivere al lancio della bomba da parte di Bruxelles, a Varsavia potrebbe incoraggiare il PiS nel continuare a ignorare ogni tentativo di persuasione esterno.
Intanto, sabato a Budapest è previsto un concentramento di protesta di fronte all’ambasciata polacca in segno di solidarietà verso i «fratelli» di Polonia che hanno sfilato a dicembre in tutte le maggiori città del paese per protestare contro il governo.

Eppure, il famoso proverbio polacco e ungherese, «I polacchi e gli ungheresi sono fratelli, sia di spada sia di bottiglia», sembra valere nel bene e nel male, soltanto fino a un certo punto, al di là di ogni differenza di vedute nei confronti di Vladimir Putin. Il think thank del PiS ha continuato a fare orecchie da mercante anche all’estero, dopo essersi rifiutato di stampare sulla Gazzetta ufficiale polacca una decisione della Corte costituzionale che richiederebbe la reintegrazione di tre giudici della corte eletti dal governo precedente, guidato dalla formazione di centro-destra Piattaforma civica (Po) dell’ex premier Donald Tusk.

Dal canto suo l’Ungheria di Orbán aveva instaurato almeno un dialogo di facciata con i burocrati dell’Ue, ribadito dai frequenti voli del premier ungherese a Bruxelles già dopo i primi rimproveri che continuano a piovere periodicamente su Budapest. L’agenda serrata del dibattito di oggi non ha invece permesso di toccare l’argomento immigrazione. Il governo del PiS ha comunque ribadito più volte di essere contrario al «sistema di quote obbligatorie di rifugiati».

Per i paesi del Gruppo di Visegrad, che include anche Slovacchia e Repubblica Ceca, resta calda l’ipotesi di proporre la soluzione di Bratislava, appoggiata anche da Londra, che prevederebbe di dare la precedenza a un numero limitato di profughi di guerra di confessione cristiana.

Ed è proprio la politica sull’immigrazione uno dei possibili argomenti discussi a porte chiuse da Orbán e Kaczynski mercoledì scorso, in un colloquio informale durato cinque ore che si è tenuto in una modesta pensione di Niedzica, nel sud della Polonia. Non è un caso che Orbán sia tornato il giorno dopo nella capitale ungherese per ricevere il premier britannico David Cameron.