Abbiamo raccolto le ciliegie: sono sul tavolo, come nelle primavere dell’infanzia, quelle di alberi bianchi e rosa, ma stiamo in giornate bizzarre, quasi tropicali. Il cielo è grigio e umido e spazi di sole caldo si alternano a improvvisi oscuramenti e grandinate. Noi umani cerchiamo di venire a patti con tempi difficili e grigi e il tempo li racconta a modo suo. Qui al co-housing è un periodo sereno, ma ci incontriamo poco; ognuno è assorto nelle proprie fatiche quotidiane. Si capisce subito che ci si impoverisce. Decidiamo di discuterne: siamo solo in quattro e si capisce subito che parlarne non serve, ma ci fa sentire vicini. l’Ernesto, postmoderno, considera obsolete le dimensioni dell’incontro: rischio, sforzo, gratuità, attesa , ed è convinto che le relazioni rimarranno solo se necessarie per «il buon funzionamento» ed on-line, non più musica che accompagna la danza interpersonale: dall’arte alla tecnica dei legami. Ribatto che proprio la questione dei legami è interessante nel «vivere insieme». I legami nascono da bambini nel gioco, si costruiscono da giovani nello studio e nei sogni e, da adulti, si arricchiscono con il lavoro. Negli eco villaggi e comunità intenzionali, giocare, studiare, lavorare insieme, ricama nell’oggi trame di tempo e spazio di queste età, senza perderne pezzi importanti. Lola nella testa e nel cuore ora ha le storie di immigrazione e ci invita a raccontare sottovoce le inquietudini, ringraziare ogni giorno per come stiamo e possibilmente assaporare il suo buon pane nero, appena uscito dal forno. Aurora è affaccendata con la riorganizzazione della vigna: la questione è rendere operativi i propri valori. Comincio a pensare che noi qui, stiamo vivendo la tematica più vasta e complessa dello smarrimento, del non riconoscerci più, noi comunità umane, nei paesaggi sinora attraversati e nelle mappe utilizzate. Forse mutazione della specie, non nell’arcata dentaria, ma di quella chiamata da secoli anima. Vado a parlarne con chi potrebbe fare chiarezza. Raggiungo Il vicino monastero di Bose, sulla serra di Ivrea. La comunità è nata nel 1965, anni vivaci e pieni di idee. È fondata da Enzo Bianchi che, allora studente, va ad abitare in casali contadini. Si sviluppa il clima innovativo di nuove comunità monastiche, come quella di Tiazè e tutta la ricerca spirituale e culturale di quel tempo. Nel monastero di Bose uomini e donne, monaci e monache in saio bianco, condividono preghiere, pasti, lavoro, attività intellettuale e artistica, silenzio, sobrietà, accoglienza, laboratori, casa editrice. Il rintocco delle campane, la meridiana con il suo sollecito scritto «Prima che il sole si oscuri», la terra intorno, tutto, è bellezza e ordine coltivati da chi ha trovato qualcosa di essenziale da testimoniare ogni giorno. Torno a casa, ancora ristorata da quella quiete infinita. Bose mi insegna un legame immortale, fra noi e tra noi ed il mondo: il legame che nasce dalla cura di ogni cosa, di ogni creatura, del giorno che arriva, dalla cura anche dei cambiamenti.