«L’ex Ilva di Taranto ricorda alla politica che bisogna ripensare l’industria e l’economia in una chiave ambientale se si vuole tutelare il diritto alla salute e al lavoro»: il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani, ha aperto ieri a Napoli al museo nazionale ferroviario di Pietrarsa i lavori dell’undicesimo congresso nazionale dell’associazione ambientalista che nel 2020 festeggerà i quarant’anni. Tema della tre giorni «Il tempo del coraggio».

Ciafani, chi è che deve avere coraggio?

È un messaggio che indirizziamo al governo Conte bis nel giorno dell’incontro tra il presidente del Consiglio e i vertici di Arcelor-Mittal sul futuro del sito pugliese. Per l’acciaio in Italia si deve fare quello che si è fatto per la chimica: negli anni Ottanta e Novanta la chimica ha provocato un disastro ambientale e sanitario, oggi abbiamo impianti verdi all’avanguardia. Il modello deve essere la chimica verde innovativa italiana, esempio planetario. Per sostituire i Riva, invece, si è scelto la cordata meno innovativa dal punto di vista delle tecnologie. Come l’ha pensata Arcelor-Mittal, l’ex Ilva non verrà decarbonizzata mai. L’industria deve avere il coraggio di investire in processi e prodotti avanzati, nelle bonifiche. L’ex llva è il banco di prova per mettere in campo soluzioni coraggiose, superando decenni di ritardi, omissioni, diritti negati, puntando su una produzione di acciaio decarbonizzata, capace di abbattere le emissioni inquinanti.

I due governi Conte si sono presentati assicurando impegno sui temi ambientali.

Abbiamo stima del ministro di riferimento, Sergio Costa, che è venuto al congresso. Lo stesso per il presidente della Camera, Roberto Fico. Ma i 14 mesi di questa legislatura sono stati disastrosi, nonostante l’impegno di Costa. Le politiche ambientali e la coesione sociale sono state messe all’angolo. Durante il primo anno ha dettato l’agenda la Lega con il vicepremier Salvini che pensava di fare nuovi inceneritori, nuove autostrade. Aveva un’idea delle politiche ambientali anni Ottanta e i 5S non sono stati in grado di fronteggiare questa deriva. Il Conte uno ha varato i condoni edilizi in centro Italia e a Ischia, lo Sblocca cantieri e i decreti Sicurezza, alimentando un clima di guerra mediatica contro nemici inventati, in particolare i migranti e le ong. Dobbiamo ringraziare il presidente Sergio Mattarella e Fico per aver tenuto viva una narrazione diversa.

Costa ha rivendicato l’avvio in parlamento del decreto Clima e il riordino del ministero, che dovrebbe portare alla fine delle sanzioni europee su aria e depuratori.

Il decreto Clima è un primo passo ma c’è da fare una maratona. Il green new deal promesso non l’abbiamo ancora visto, per dargli corpo ci vogliono i ministeri dell’Ambiente, dei Trasporti, Sviluppo, Agricoltura, Università e ricerca, Economia e finanza. Il primo mattone lo si mette con la legge di Bilancio. Sulla plastic tax si è eretto un muro quando invece è una tassa sacrosanta che va migliorata, estendendola oltre gli imballaggi. L’Europa ha fatto errori, ad esempio in materia di migranti o agricoltura, ma ci ha pure costretto a fare il depuratore a Milano negli anni 2000 o a dismettere la discarica di Malagrotta a Roma. Le sanzioni ci devono spingere a chiudere il ciclo dei rifiuti dove ancora mancano gli impianti o bonificare le discariche sparse nel paese. In Italia 20 milioni di persone respirano mal’aria. Bruxelles ha deciso di investire nel green new deal mille miliardi di euro, deve essere un’occasione anche per noi.

È possibile strutturare una filiera economica virtuosa?

Ci sono eccellenze in Italia uniche al mondo, come l’impresa che produce il butandiolo da fonte rinnovabile in provincia di Rovigo o quella che ricicla i pannolini nel trevigiano. Ci sono filiere di economia circolare su rifiuti da imballaggio, pneumatici, oli usati e batterie al piombo. Perché l’Italia non è solo il vecchio modo di fare industria come è stato a Bagnoli con l’Italsider, Casale Monferrato con l’Eternit, Cengio con l’Acna. Basta dare concessioni all’industria estrattiva. Occorre riconvertire gli impianti industriali più obsoleti ma anche affrontare il tema delle mafie, delle 20mila case abusive costruite ogni anno, dei 7 milioni di persone in aree a rischio idrogeologico, dei 30 milioni di tonnellate di amianto negli edifici pubblici e privati. L’economia circolare e la rivoluzione energetica, con l’abbandono dei fossili, sono in grado di coniugare giustizia sociale e sviluppo.

Si può finanziare il cambiamento?

Le risorse esistono già nel bilancio dello stato spostando gli oneri fiscali dal lavoro al prelievo di materie prime, cancellando i sussidi alle fonti fossili e inquinanti, pari a quasi 19 miliardi di euro. Sussidi ambientalmente dannosi che devono trasformarsi in investimenti in innovazione ambientale.