«Siamo soddisfatti perché l’accordo di Parigi va in modo irreversibile verso un futuro libero da fossili. Però gli impegni presi sono insufficienti a contenere effettivamente la crescita della temperatura entro 1.5-2 gradi, quindi sarà cruciale rivederli entro il 2020». Rossella Muroni è la nuova presidente in pectore di Legambiente (unica candidata alla successione, oggi, di Vittorio Cogliati Dezza) a conclusione del decimo congresso nazionale dell’organizzazione a Milano. Romana, 41 anni, la sua è una carriera tutta interna, che la porta a seguire per 10 anni le iniziative itineranti (Goletta verde, Treno verde, Operazione fiumi) e a ricoprire, negli ultimi 8, il ruolo di direttrice generale.

Partiamo dall’accordo sul clima: Legambiente ne dà un giudizio favorevole, ma non risparmia alcune critiche.

Il testo pone le fondamenta per affrontare seriamente la crisi climatica. L’obiettivo di lungo termine è contenere il surriscaldamento al di sotto dei 2 gradi, e di mettere in atto tutti gli sforzi possibili per non superare 1.5 gradi. Un fatto positivo, per nulla scontato. Il problema è che gli impegni già annunciati sono sufficienti a ridurre solo di un grado circa il trend attuale di crescita delle emissioni, con una traiettoria di aumento della temperatura globale che si attesta sui 2.7-3 gradi. Diventa essenziale, dunque, rivederli non oltre il 2020, e purtroppo l’accordo lo prevede solo su base volontaria, rimandando al 2023 la prima verifica global. L’Europa deve dimostrare con i fatti la sua leadership nell’azione climatica rivendicata a Parigi. Tornati a casa, i governi devono tradurre in azione gli impegni assunti nell’ambito della High Ambition Coalition, che negli ultimi giorni ha svolto un ruolo importante nei negoziati. Peraltro in Europa ci sono le condizioni per poterlo fare: ha un trend di riduzione delle sue emissioni del 30% al 2020, rivedere l’ impegno al 40% nel 2030 è possibile senza grossi sforzi, e con un impatto positivo sull’economia, come dimostrano i dati degli ultimi anni.

Torniamo al congresso. Proseguire nel percorso tracciato significa anche spingere per una partecipazione popolare sempre più diffusa?

Senza dubbio. Nato come tema elitario, adesso l’ambientalismo deve arrivare nelle piazze. Non vogliamo intestarci il ruolo di sindacato dell’ambiente, ma essere un’associazione aperta, capace di costruire lobbies trasversali, nella società civile come in Parlamento, che producano risultati concreti. Come è accaduto per gli ecoreati.

Quali nuovi obiettivi vi proponete?

L’impegno sul clima è essenziale, da lì passa il tema della riconversione energetica e dell’abbandono del petrolio, peraltro alla base dei conflitti e degli squilibri geopolitici attuali. Altro tema importante è quello del consumo di suolo: la legge è ferma in Parlamento e noi intendiamo spingere per un cambio culturale in materia, perché la nuova edilizia significhi rigenerare, curare, mettere in sicurezza, e non più cementificare. Al congresso abbiamo poi lanciato la campagna per il voto amministrativo agli stranieri residenti da almeno 5 anni: è importante, perché significa responsabilizzarli rispetto al territorio.

Da Milano è anche partita una sfida alla Leopolda di Renzi: stigmatizzate trivellazioni e grandi opere, ma la questione di fondo riguarda la modernità della proposta politica.

La Leopolda si è sempre rappresentata come il luogo dell’innovazione, invece quelle che circolano sono idee vecchie, superate. Il Jobs act è una riforma del lavoro che guarda solo alle forme contrattuali, ma non alla sostanza, al merito di un mondo che deve obbligatoriamente passare dalla sostenibilità ambientale. Così come è negativa la rottamazione che non tiene conto delle esperienze e delle competenze. Tra ottimisti e pessimisti, noi siamo attivisti, confortati da un pezzo dell’Italia produttiva che sta cambiando, che investe nella rigenerazione, nelle rinnovabili, nell’innovazione. È un processo culturale emergente con dignità imprenditoriale, che però non viene riconosciuto, non dalla politica, non da Confindustria, cui bisogna dare rappresentanza. I luoghi istituzionali sono i luoghi della conservazione. Luciana Castellina diceva l’altra sera ad una nostra tavola rotonda che il tema della decrescita è stato a lungo visto con sospetto anche in Legambiente. Ora finalmente è assimilata l’idea che chi parla di decrescita non ha alcun intento punitivo né vocazione pauperistica, piuttosto rimanda alla qualità della vita e alla libertà.