Nelle ore in cui tutto il mondo è con il fiato sospeso per il risultato delle presidenziali, gli elettori di cinque Stati Usa hanno consegnato risultati, a loro modo straordinari, su cannabis, psilocibina e decriminalizzazione del possesso di droghe.

Tutti i referendum sulle droghe sono infatti passati, molti di loro con margini considerevoli. Arizona (favorevoli al 60%), New Jersey (67%), Montana (57%) e South Dakota (53% per la ricreativa, 69% per la terapeutica) hanno legalizzato la cannabis per uso ricreativo. Il Mississippi ha approvato con il 68% dei voti il quesito che apre all’uso terapeutico della cannabis.

Salgono così a 34 gli Stati che hanno attivato programmi di marijuana medica e a 15 quelli che hanno legalizzato la cannabis per tutti gli usi (più il Distretto della Capitale Washington). Si è definitivamente chiusa la catena ovest, che parte dal Canada e arriva al Messico, prossimo anche lui alla legalizzazione.

Anzi, la cannabis legale comincia a far breccia anche nel cuore profondo dell’America: in Montana, South Dakota e Mississippi. Vince anche in Stati solidamente repubblicani: pare essere l’ennesima dimostrazione che laddove si tocca con mano gli effetti positivi della riforma delle politiche sulle droghe, a partire dalla cannabis, sono i cittadini stessi a chiedere di continuare nella riforma delle fallimentari politiche proibizioniste.

Ad est la strada sembra ormai spianata: il referendum del New Jersey è stato richiesto dal parlamento e sostenuto personalmente dal governatore democratico Phil Murphy. Manca ancora New York, il cui governatore Cuomo ha più volte dichiarato di voler legalizzare la cannabis, nonostante il nulla di fatto della sessione dello scorso gennaio.

Non c’era solo la cannabis in questo election day: in Oregon ha ottenuto un ottimo risultato la regolamentazione legale della psilocibina, approvata con il 56% dei voti. Anche Washington D.C. – con il 76% dei favorevoli – ha depenalizzato il consumo di psilocibina: si apre così una nuova strada riformatrice per i movimenti antiproibizionisti e psichedelici d’oltreoceano.

In Oregon fondamentale successo per un secondo quesito (59%) che depenalizza il possesso di qualsiasi droga (sanzionabile ora solo con una multa di massimo 100$). Lo stesso quesito prevede di aumentare i finanziamenti ai programmi di assistenza alle persone che usano sostanze, grazie alle imposte della cannabis (legale in Oregon dal 2014).

«Un passo enorme che va verso un approccio umano e basato sulla salute», ha commentato Kassandra Frederique, Drug Policy Alliance. Le politiche sulle droghe sono lo strumento della repressione delle minoranze negli Usa, come numerosi rapporti hanno dimostrato. La presa di coscienza collettiva, anche all’interno del movimento #blacklivesmatter, del ruolo centrale di queste sulla società e sulla stessa essenza della democrazia, è importante e fa ben sperare per il futuro. Negli Stati Uniti come nel mondo.

Il risultato delle presidenziali influenzerà certamente il futuro delle politiche sulla cannabis, come del resto lo farà il risultato al Senato, che sinora si è dimostrato il più forte ostacolo per le riforme. Il More act, il provvedimento che rimuove la cannabis dalle sostanze controllate a livello federale, anche se approvato dalla Camera, laddove fosse confermata la maggioranza democratica difficilmente riuscirà a passare lo scoglio del Senato. Che peraltro ha perso il senatore repubblicano Cory Gardner nello scontro con l’ex governatore del Colorado, il democratico Hickenlooper. Gardner aveva battagliato contro l’Attorney General Jeff Sessions, che voleva soffocare sul nascere l’onda verde delle legalizzazioni statali, bloccando a lungo al Senato alcune nomine del Ministero della Giustizia.

Questa tornata elettorale apre come detto nuove strade e nuovi orizzonti: sullo sfondo il voto sulla cannabis all’Onu del prossimo dicembre, che potrebbe rappresentare un ulteriore passo verso la riforma delle politiche sulle droghe basata sulle evidenze scientifiche e il rispetto dei diritti umani.