Senza tessere, con un altro statuto, le casse vuote e le urne piene di consensi. La Lega 4.0 di Matteo Salvini aspirante premier continua a celebrare il trionfo che alla Camera vale 5.691.921 voti, di cui quasi 1,5 milioni in Lombardia e più di 832 mila nelle tre regioni di Nord Est. La felpa di lotta mediatica è diventata partito di governo virtuale perfino in Emilia, Marche, Umbria e Toscana. Ma lontano dai riflettori tv o dalla sfilata dei nuovi parlamentari affiorano un paio di problemi tutt’altro che trascurabili.

Primo: nessuno finora ha provveduto a stampare le tessere 2018 da consegnare a dirigenti politici, amministratori locali e semplici militanti. Eppure il 31 marzo scade il termine per regolarizzare le iscrizioni, anche a beneficio delle norme del codice civile che disciplina la vita dei partiti.

Secondo: Salvini insieme a Lorenzo Fontana ha già depositato dal notaio lo statuto della «Lega per Salvini premier». Un documento politicamente più che significativo, perché leggendo gli articoli del nuovo assetto del vecchio Carroccio si scoprono trasformazioni radicali. È scomparsa, tanto per cominciare, la parola «indipendenza» che era stata declinata per decenni come secessione, federalismo, autonomia. E non si parla più di «nazioni del Nord», perché ormai la Lega sconfina da Roma alla Calabria sull’intero territorio italiano. La Padania del Sole delle Alpi, della «guardia verde», della processione dal Po alla laguna o dell’informazione leghista finisce così in soffitta.

Dunque, la Lega Nord cambia nome e identità? Ci sarà anche un tesseramento al posto di quello tradizionale? E, di conseguenza, un «congresso fondativo»? Tutto in funzione anche della contabilità che gira pagina, soprattutto nei confronti dell’eredità di Bossi & C.?
Se lo chiedono non solo Bobo Maroni e Luca Zaia, simboli del «buongoverno» lombardo-veneto capace di strappare allo staff di Gentiloni il protocollo sull’autonomia regionale frutto del referendum d’autunno. Le stesse domande rimbalzano dagli addetti alle pratiche burocratiche (che hanno utilizzato la dizione Doc riconosciuta dal Viminale) fino ai neo deputati e senatori fedelissimi di «Matteo». Interrogativi che minano per di più la piattaforma governativa, in vista delle trattative dentro e fuori il centrodestra.

Fino a ieri nei gazebo dominava il nordismo con venature celtiche, nostalgie serenissime, simpatie per la Scozia stile Braveheart. Adesso l’identità della Lega 4.0 coltiva il sovranismo mutuato da Putin, giura con il rosario caro a Fontana, predica no-euro con il professor Bagnai e si lascia contaminare dal neo-fascismo.

Intanto le cronache del dopo 4 marzo si cristallizzano sui volti. Come quello di Toni Iwobi, 62 anni, nigeriano di Spirano (Bergamo) entrato nella Lega fin dal 1993: da responsabile del dipartimento immigrazione del Carroccio ad un seggio a palazzo Madama. O di Nadia Pizzol, pensionata 65enne che aveva debuttato un quarto di secolo fa con 7 preferenze alle Comunali di Marco (Venezia) e a sorpresa si ritrova senatrice grazie al calcolo dei resti.

E in Trentino i brindisi non si fermano alla salute dell’altro autonomismo che ormai combacia con Salvini, la risposta italiana alla Svp di Maria Elena Boschi. Nelle valli dolomitiche la Lega ha più che triplicato i consensi con il record a sorpresa di cinque deputati, in maggioranza donne: Maurizio Fugatti, Diego Binelli, Giulia Zanotelli, Vanessa Cattoi, Stefania Segnana.
Sull’onda del trionfo, in Friuli vola la candidatura a governatore di Massimiliano Fedriga. Conferma senza complimenti Barbara Zilli, 40 anni, consigliere regionale: «L’equilibrio nel centrodestra è cambiato e c’è una distanza siderale rispetto a Fi. Siamo pronti a guidare la coalizione: lo chiedono gli elettori».