«M’han tirà un pugno nell’ocio, ciama l’ambulansa». L’ex segretario del Carroccio di Venezia, Paolo Pizzolato, sarà duro e puro ma non ha proprio il fisico da pugile. Ha anche una certa età. Eppure eccolo lì, al tappeto, quasi in lacrime, espulso e mazziato. Arrivano i sanitari e con loro ci sono anche i carabinieri. Il colonnello deve entrare nel «Consiglio nathional» della Liga Veneta di Noventa padovana dove è successo il fattaccio per cercare di riportare la calma.

Il segretario veneto Flavio Tosi ha appena fatto fuori 35 militanti rei di averlo contestato sul «sacro prato» di Pontida. Al consiglio c’era anche il suo avversario, il governatore Luca Zaia, lui era contrario alle espulsioni ma non ha votato in quanto presidente della regione. Proprio quando Zaia se n’è andato una cinquantina di militanti che fino a quel momento avevano protestato in silenzio, fuori dall’edificio, con le bocche incerottate, non ci hanno visto più. Hanno tentato di irrompere nella riunione ma sono stati bloccati dai «tosiani». A quel punto è scoppiato il parapiglia, con spintoni e insulti. A uscirne malconcio è stato il povero Pizzolato che ha denunciato di essere stato colpito da Matteo Bragantini, vice capogruppo del Carroccio alla Camer, il quale, a sua volta, si è difeso nel più classico dei modi: «Sono stato io ad essere aggredito».

Pizzolato finisce all’ospedale e la prognosi è di sospetto trauma cranico. Mentre è ancora disteso nel piazzale Flavio Tosi esce scortato dai carabinieri e viene coperto di insulti: «Traditore, buffone, picchiatore, fascista». Più tardi nel pomeriggio Tosi ha ribadito che i ribelli sono «amici del cerchio magico» di Bossi che contestano la linea del congresso. Zaia invece ha detto che secondo lui le espulsioni non servono e ha definito questa sceneggiata veneta una «pagina indecorosa». Per non dire grottesca. «Avevo invitato ad accogliere delle proposte che prevedevano una gradualità di opzioni – ha continuato il govenratore del Veneto – Ma la mia idea non è stata accettata. Nella vita nessuno di noi della Lega avrebbe mai pensato di attraversare un momento così difficile, pieno di tante tensioni e scontri personali».

Che cosa sta succedendo nella Carroccio? Dopo gli spintoni di Pontida l’altro giorno sembrava che Bossi fosse andato dal notaio per fondare un nuovo partito. Poi ha smentito: «Chiedete a Leoni, è andato lui mica io, per fare un associazione. Non sarò io a rompere la Lega». Sarà, ma le vicende di questi giorni hanno messo in piazza un partito che è già a pezzi. Maroniani contro bossiani, varesini – come Maroni – contro bustocchi – Reguzzoni, il fedelissimo di Bossi a rischio espulsione è di Busto Arsizio – veneti contro lombardi, veneziani contro veronesi, sostenitori di Tosi contro quelli di Zaia.

Forse non poteva che finire così. La Lega si è sempre fondata sull’esaltazione del manipoli di prodi legati al territorio e al capo. Dopo la caduta di Bossi travolto dagli scandali, il movimento si è avvitato in una spirale senza fine e si è diviso in una serie di gruppetti e capetti sempre più piccoli l’uno contro l’altro armati. E’ ancora più difficile fermare questo processp se in più ci si mettono gli interessi personali, la voglia di spartirsi il potere accumulato in venti anni e di essere rieletti. E così caduto Bossi la lotta per l’eredità politica del partito più vecchio d’Italia non è mai finita.

Anche perché questa situazione non fa che far perdere consensi – il caso del Veneto dove la Lega è stata svuotata dai voti passati a Grillo è emblematico – meno voti ci sono, meno potere c’è da dividere e più il movimento implode e litiga. Una catastrofe per quei militanti leghisti – quelli veramente della base – che intorno al partito hanno costruito anche la loro vita sociale tra ampolle e feste padane. Per loro essere espulsi è come perde la propria identità.

Maroni però tira dritto. Ieri da Gorizia ha attaccato: «La Lega è una sola. Tanti hanno voglia di fare e pochi di disfare». Ha definito i dissidenti solo una piccola percentuale di «pistola» che non si danno pace perché non rieletti. Poi ha rilanciato promottendo di vincire in Friuli. Ma il fantasma vivente di Bossi è sempre alle sue spalle. Ieri da Gemonio (Varese) ancora una volta ha fatto capire che non lascerà espellere Reguzzoni senza combattere. Alla prossima scazzottata.